giovedì 31 maggio 2012

CARLOS GARAICOA: A CITY VIEW FROM THE TABLE OF MY MOUSE - KUNSTHALLE BASELLAND



CARLOS GARAICOA
A CITY VIEW FROM THE TABLE OF MY MOUSE
Kunsthaus Baselland
St. Jakob-Strasse 170 - 4132 Muttenz/Basel
1/6/2012 - 15/7/2012

Carlos Garaicoa (born 1967 in Havana, lives in Havana and Madrid), in his exhibition in the Kunsthaus Baselland, combines his older works with completely new ones. In his work, he examines architecture and urbanism as image and reflection of political reality and social development. His photography, drawings, sculptures, installations and films draw attention to the crises and history of urban spaces.
The artist has already participated in numerous international exhibitions, including the Documenta XI (2002), the Biennale in Venice (2005, 2009) and the Havana Biennale (2009, 2012). His works have been exhibited as comprehensive solo exhibitions in renowned galleries, such as the Institute of Contemporary Art (ICA), Philadelphia (2007), the Irish Museum of Modern Art, Dublin (2010) and the Kunstverein Braunschweig (2012).
Since the 1990s, he has repeatedly used his birth city as a point of orientation in his work. The lost splendour of the Spanish colonial era is mirrored in its neo-classical ruins, and the consequences of the decline of modern ideology show themselves vividly in the often incompletely materialised structures of socialism. Garaicoa adds to these objects a critique of his own utopia. He completes, for instance, monochrome photos of dilapidated buildings with fine, coloured threads, restoring or finishing imaginary structures that were never actually completed. He thereby presents a universal critique of both government and institutions for not preventing the decline of the city since the 1959 revolution, as well as the general ideologies of the twentieth century.
Many of his works are as fragile as hope in crisis-plagued times, or as remembrance of the past: The Old and the New (2010), as an example, is a 12-part series of works on paper, in which fine lithographs of historic facades gingerly rear up, complemented and aesthetically ruptured by utopian silhouettes of black cardboard.
Garaicoa’s portrayal of the city is continually disengaging from the haptic places of reality, creating artistic urban visions. A fictitious city, grappling with the theme of private and public spheres, is presented in the photo installation, A City View from the Table of My House (1998): seemingly antiquated everyday objects like crystal vases, lamps and glass flacons together constitute a model of buildings and places that their owner can arrange. At the same time, the objects themselves relate a personal history and form the character of a typical city.
By contrast, Bend City (Red) (2008) at first glance is a collection of minimalist paper sculptures. On closer inspection, pages, bridges, buildings and monuments emerge from the 96 folded red paper through fine cuts and folds. The individually created structures seen together form the poetically gloomy utopia of a monotonous socialist city.
Carlos Garaicoa’s work is often composed of ironic political components, as seen in the installation, Prêt-à-porter, which focuses on the motif of hats or headgear, employed as a formal and symbolic element. In this installation, the artist positions a collection of wooden hat moulds and designer hats on a large table. Hats are a significant symbol for political and official dignitaries. Complemented by collages, in which the artist crowns political figures with illustrated hats, a continuum of subtle irony permeates the work, demonstrating the interplay of power and apparel. With Nikolas Sarkozy wearing a joker’s hat, a clear political statement is being made, calling the politician’s credibility into question.

GRANDI FOTOGRAFI A 33 GIRI - AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA, ROMA



GRANDI FOTOGRAFI A 33 GIRI
a cura di Raffaella Perna
Auditorium Parco della Musica
viale Pietro de Coubertin 10 - Roma
dall'1 al 29/6/2012

Dopo la mostra Synchronicity. Record Covers by Artists (2010) dedicata alle copertine di dischi progettate da artisti, Grandi fotografi a 33 giri propone per la prima volta un'ampia ricognizione sul rapporto tra cover e fotografia d'autore. L'esposizione, a cura di Raffaella Perna, attraverso una selezione di circa centocinquanta dischi in vinile provenienti dalla collezione di Stefano Dello Schiavo, intende ripercorrere cronologicamente la storia delle copertine realizzate appositamente dai grandi maestri della fotografia, a partire dagli anni Cinquanta fino a oggi. Copertine scelte per la peculiare capacità di trasmettere appieno il linguaggio espressivo del fotografo, che si configurano come oggetti dalla duplice valenza culturale e commerciale: prodotti che, pur essendo realizzati su commissione nell'ambito di un'attività professionale, mostrano la forza creativa dell'autore, al di là dei vincoli imposti dalle case discografiche.
Frutto di una completa fusione tra professionalità e sperimentazione, tali copertine concorrono a formare l'immaginario visivo dei diversi generi musicali: è questo il caso delle straordinarie cover di Lee Friedlander che, con i suoi primi e primissimi piani, ha contribuito alla creazione e al consolidarsi degli stilemi fotografici del jazz. Sempre in ambito jazz sono in mostra le copertine di William Eugene Smith, Roy DeCarava, Arnold Newman, Garry Winogrand e il bellissimo close-up di Miles Davis realizzato per l'album Tutu da Irving Penn.
Nel contesto della musica rock, oltre alle cover fotografiche di artisti noti quali Andy Warhol o Mario Schifano, sono notevoli alcuni lunghi sodalizi artistici come quello instauratosi tra Robert Mapplethorpe e la cantante Patti Smith, a cui si deve la celebre copertina di Horses, inserita dalla rivista “Rolling Stone” nella lista delle cento migliori cover di tutti i tempi, o quello tra Anton Corbijn e gli U2, da cui nascono immagini entrate a far parte dell'universo visivo d'intere generazioni di fan del gruppo irlandese.

In mostra ampio spazio è riservato ai grandi fotografi di moda, che sempre più spesso vengono chiamati a produrre immagini delle star del panorama musicale. Fra questi: Richard Avedon, David Bailey, Helmut Newton, Mario Testino, Bruce Weber, Ellen von Unwerth, Juergen Teller, Inez van Lamsweerde & Vinoodh Matadin ed Herb Ritts, scelto da Madonna come fotografo in diverse occasioni.
Dagli anni '80 autori come David LaChapelle o Pierre & Gilles hanno trasferito nella copertina del disco lo stile spettacolare e artificiale dei loro tableaux vivants fotografici, contribuendo così a diffondere presso un pubblico vastissimo l'eclettismo sovraccarico della loro estetica postmoderna.
Tra i fotografi italiani presenti in mostra Luigi Ghirri, autore fra l'altro di numerose cover di musica classica edite dalla casa discografica RCA, Luigi Veronesi, Ferdinando Scianna, Oliviero Toscani, Franco Fontana, Giuseppe Pino.
Il catalogo è pubblicato dalla casa editrice Postcart, nella collana editoriale Postwords

Elenco dei fotografi in mostra
Nobuyoshi Araki, Richard Avedon, David Bailey, Roberta Bayley, William Claxton, Lucien Clergue, Michael Cooper, Anton Corbijn, Gregory Crewdson, Chris Cunningham, Roy DeCarava, Franco Fontana, Lee Friedlander, Robert Frank, Luigi Ghirri, Guido Harari, Horst P. Horst, George Hurrell, William Klein, Nick Knight, Inez van Lamsweerde, David LaChapelle, Annie Leibovitz, Robert Mapplethorpe, Steven Meisel, Duane Michals, Jean-Baptiste Mondino, Billy Name, Arnold Newman, Helmut Newton, Erwin Olaf, Martin Parr, Pierre & Gilles, Tod Papageorge, Irving Penn, Giuseppe Pino, Bettina Rheims, Herb Ritts, Mick Rock, Ferdinando Scianna, Mario Schifano, Cindy Sherman, William Eugene Smith, Michael Snow, Juergen Teller, Mario Testino, Wolfgang Tillmans, Oliviero Toscani, Pete Turner, Ellen von Unwerth, Luigi Veronesi, Andy Warhol, Bruce Weber, Garry Winogrand

FABIO MAURI. IDEOLOGIA E MEMORIA - BOLLATI BORINGHIERI 2012


FABIO MAURI
IDEOLOGIA E MEMORIA
a cura dello Studio Fabio Mauri
Bollati Boringhieri, 24/5/2012
collana "Nuova cultura"

Le occasioni e i pretesti in cui Fabio Mauri «gestiva» uno spazio di parola erano soprattutto le conferenze, quei momenti di frontalità con un pubblico che ascoltava e domandava. Quasi tutti i suoi testi sono stati pubblicati ma questa è l’occasione di avvicinare i testi di Fabio Mauri non più soltanto nel loro valore espressivo o nelle loro strutturazioni formali, ma nelle modalità in cui essi stessi, i testi, diventavano esistenze, insomma, le conferenze di Fabio Mauri come momento performativo, come articolazione, precisazione, divagazione: ognuno dei suoi testi sembra non procedere come discorso ma come pretesto che gira al limite del testo. Ogni testo sembra documentare una rottura, un gesto carico di rischi, una sparizione.
È al centro della tematica beckettiana il terribile interrogativo di Nietzsche: «Chi parla?». Che in Beckett diventa: «Che cosa importa chi parla, qualcuno ha detto che cosa importa chi parla?». Così, per Fabio Mauri, la conferenza, il testo, l’incontro di parola, è una permanenza di oscurità, prolungata, che via via si stempera per mostrare la parola come un luogo di transito e di attesa incerta. Il discorso è «usato» spesso come una disappropriazione, una distanza, una negazione. Il rapportarsi con il pubblico che lo ascolta è per Fabio Mauri una sorta di operazione chirurgica in cui le parole sono degli strumenti rigorosi, custoditi nelle tasche, trattenute nei gesti, mescolate al fumo della sigaretta.
Quasi sempre testi di una densità formidabile, una parola, che acquista una potenza rara, il verbo si fa materia, sembra non esserci speranza nella storia, ma sembra essercene, ancora, nella dialettica o nell’arte, nell’etica e nell’estetica.

Fabio Mauri (1926-2009), tra i massimi esponenti dell’avanguardia italiana, ha svolto anche una lunga attività editoriale presso Bompiani, tra il 1957 e il 1975, e ha insegnato Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila dal 1979 al 2001. Ha concepito teatro, performance, installazione, pittura, teoria, scrittura, insegnamento come elementi di un’unica espressività. I suoi primi monocromi e Schermi risalgono al 1957. Negli anni settanta ha rivolto l’attenzione alla componente ideologica dell’avanguardia linguistica. Sono gli anni di Ebrea e della prima grande performance Che cosa è il fascismo. Nel 1994 si è tenuta la sua prima retrospettiva alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, cui sono seguite quella del 1997 alla Kunsthalle di Klagenfurt e quella del 2003 a Le Fresnoy-Studio National des Arts Contemporains di Lille. Tra i suoi libri, Il benessere (con Franco Brusati, 1962), L’isola. Commedia in due tempi (1966), I 21 modi di non pubblicare un libro (1990) e Io sono un ariano (2009). La sua attività continua attraverso lo Studio Fabio Mauri-Associazione per l’Arte L’Esperimento del Mondo.

MARIO DE CANDIA - PATRIZIA FERRI (a cura di): COSE (QUASI) MAI VISTE - GANGEMI 2011


MARIO DE CANDIA - PATRIZIA FERRI (a cura di)
COSE (QUASI) MAI VISTE
Idee, processi e progetti della ricerca artistica italiana degli anni '60 e '70 

Gangemi, 20112
collana "Arte, Disegno, Rilievo, Design"

“Cose (quasi) mai viste” mette in campo un'ipotesi di contributo alle conoscenze dell'arte degli Anni ‘60-'70 attualizzando ed elaborando tesi sostenute già negli anni passati, introducendo un'attitudine aperta alla domanda più che alla chiusura filologica. Cerca di ricostruire o ricostituire per somme linee, ed esemplari personalità, il mosaico esploso di una pratica recente dell'arte, profondamente ancorata e radicata come rivoluzionaria nel nostro tempo: lo specchio di una società, la nostra di quegli anni, che viveva una mutazione e attraversava cambiamento di segni, di senso e delle strutture mentali. È un progetto condiviso nato dall'esigenza – avvertita da più parti in questi ultimi tempi – di una rilettura alla luce del presente di quel periodo compreso tra gli Anni ‘60 e ‘70: un coacervo di complessità e problematicità affascinante e controversa che non ha ancora permesso – nonostante i tentativi di classificazione e storicizzazione – di essere consegnato tout court ad una rigidità filologica. Un progetto che, a fronte di questa dichiarata complessità, ha giocato piuttosto sulle diversità, consapevole di essere di fronte a delle “realtà” che, se non possono essere definite parallele, sicuramente risultano convergenti, sia sotto il profilo teorico sia produttivo sia di tensione, verso un approdo di problematica comune (ai nostri artisti, ma non solo ad essi): determinare una possibilità di significazione, chiara e inequivocabile, sviluppata con precise finalità estetiche, tecniche e strumentali. Attraverso alcuni testimoni del periodo come Carla Accardi, Franco Angeli, Gianfranco Baruchello, Umberto Bignardi, Alighiero Boetti, Nicola Carrino, Luigi Di Sarro, Paolo Gioli, Ettore Innocente, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Luca Patella, Lamberto Pignotti, Vettor Pisani, Cloti Ricciardi, Mario Schifano, Michele Zaza, si intende declinare pertanto più momenti di proficua convivenza e dialettica coabitazione fra autori di aree espressive che, seppure pertinenti alle medesime radici storiche e culturali, conosciamo come sostanzialmente differenti, nelle intenzioni, negli esiti e, soprattutto, nella evoluzione dei loro rispettivi lavori e ricerche, non solo per gli anni considerati dalla rassegna, ma – per i casi – fino a tutt'oggi. Artisti estrapolati dalle singole aree di pertinenza linguistica, dall'appartenenza a gruppi e tendenze degli anni che furono, con l'intenzione, da una parte, di sottrarli a logiche rigide di lettura critica, etichette ed incasellamenti; da un'altra, di liberarli da classificazioni e sottolinearne l'identità individuale e la ricchezza delle poetiche, delle gamme espressive e concettuali, oggi punto di riferimento consapevole delle ultime generazioni che da questi precedenti hanno appreso la capacità di elaborare i propri linguaggi con approccio sperimentale, indagandone tutte le potenzialità strutturali, oltre l'aspetto formale.

FABIO GIOVINAZZO: KINEK IROD EZT? - PALAZZO ROSSO, GENOVA 1/6/2012



FABIO GIOVINAZZO
KINEK IROD EZT?
proiezione del film
Auditorium di Palazzo Rosso
via Garibaldi 18 - Genova
venerdì 1 giugno 2012, h. 21,00

Proiezione del film di Fabio Giovinazzo dedicato a Edoardo Sanguineti, a due anni dalla morte. l film unisce elementi sperimentali di montaggio ad interventi parlati sul lavoro poetico, critico e di docente di Sanguineti: parlano Marco Berisso (docente alla Facolta' di Lettere), Raffaele Perrotta (professore di Metodologia e critica dello spettacolo all'Universita' di Genova), Massimo Sannelli (scrittore, attore e artista genovese), Franco Vazzoler (professore di Letteratura teatrale italiana all'Universita' di Genova).

mercoledì 30 maggio 2012

MANIFESTA 9 - MINING SITE OF WATERSCHEI, GENK




MANIFESTA 9
curated by Cuauhtemoc Medina, Katerina Gregos and Dawn Ades
Mining Building and Mining Site of Waterschei
Andre' Dumontlaan - Genk
31/5/2012 al 30/9/2012

MANIFESTA: AN INTRODUCTION
Manifesta, the European Biennial of Contemporary Art, is the only nomadic contemporary art biennial, showcasing the most innovative work by artists and curators from Europe and beyond. Manifesta changes its location every two years in response to a variety of social, political and geographical considerations. Since 1996, it has been held in Rotterdam, Luxembourg, Ljubljana, Frankfurt, Donostia-San Sebastián, Nicosia (cancelled), Trentino-Alto Adige and the Region of Murcia. Opening in Belgium on June 2, 2012 and running until September 30, 2012, Manifesta 9 will be taking place in the former coalmining complex of Waterschei in Genk, Limburg, Belgium. Since its first edition 15 years ago, Manifesta has been concerned with the idea of breaking down barriers, crossing borders and building bridges. Incorporating exhibitions, performances, multi-media experiments and broadcasts, Manifesta 9 highlights the very best of creative thought, research and experimentation, involving individual artists and artistic communities from diverse backgrounds from all around the world.

MANIFESTA 9 CURATORIAL CONCEPT: THE DEEP OF THE MODERN
The Deep of the Modern intends to create a complex dialogue between different layers of art and history. Its point of departure is the significance of the former coalmining region of Belgian Campine as a locus of industrial capitalism’s imaginary and ecology. The remains of the Waterschei mine in Genk, Limburg, which comprise the main venue of Manifesta 9, are not the only protagonists in this story. The Deep of the Modern was perhaps most inspired by the overall geographical-ecological “mining machine” that transformed the region over the course of the 20th century, giving rise to a complex landscape of garden cities, landscape planning, canals, roads and railroads. The Deep of the Modern will develop as a dialogue between three different sections: Poetics of Restructuring. This section consists of contributions from 39 contemporary artists, focusing on aesthetic responses to the worldwide “economic restructuring” of the productive system in the early 21st century, and developments in industrialism, post-industrialism and global capitalism. The selected works will interact as directly as possible with the current state of ruin of the building and its immediate surroundings. The curatorial team has worked to create a balance between time-based works, installations, and other artistic media, and to provide a geographically and gender diverse representation of contemporary artistic practice today. The Age of Coal. An art historical exhibition comprising artworks from 1800 to the early 21st century about the history of art production aesthetically related to the industrial era. This essay on a new kind of Material Art History is organized into several thematic sections with artworks in which coal played an important role. Coal as the main fuel of industry, as a major factor of environmental change, as a fossil with significant consequences in the field of natural science, as the main referent of certain forms of working class culture and as a material symbolic of the experience of modern life. In short, The Age of
Coal examines how coal affected and defined artistic production.
17 Tons. In addition to the two sections dedicated to art, Manifesta 9 will include a new element: an exploration of the cultural production that has been powered by the energy of memory that runs through the diverse heirs of coal mining in the Campine region of Limburg, as well as several other industrial regions in Europe. This section is the product of a collaboration between individuals and institutions who, coming from disparate disciplines and practicing different social forms of agency, continue to activate the collective memory and the preservation of both the material and immaterial heritage of coalmining. The title of the show refers simultaneously to the most famous song of coal miners around the world (16 Tons, recorded in 1946 by Merle Travis) and to the title of one of Marcel Duchamp's most famous installations (Sixteen Miles of String, 1942). The discrepancy between 16 and 17 is meant to suggest the need to take a step beyond the current stage of the coal industry's memory claims. Although the exhibition is divided into different sections – all brought together in this single building in Waterschei – there are thematic, poetic, and methodological affinities that interlace the works of all three of its sections. The selection and organization of the exhibition aim to create resonances between the different levels and elements of the show across different times, genres and positions within the building. We hope that the contemporary artworks will provide novel insights into the art historical objects and heritage practices represented, and vice versa. In that sense The Deep of the Modern places its trust in the power of the exhibition and in the audience's ability to make sense of the three exhibits by comparing and working through different elements of cultural production. Manifesta 9 proposes to redirect the course of Manifesta toward an advocacy of art production and historical knowledge as loci of aesthetic and social reflexivity and intergenerational responsibility. In that sense, the exhibition reflects the complex mediation of artworks, images, historical information and cultural institutions in the production of modern and post-industrial ways of thinking. The three sections attempt to explore the ways that art and culture are immanent to the social processes that both record and transform the outlook of specific social formations.

MANIFESTA 9: THE CURATORIAL TEAM
Head of the Curatorial Department is the Mexican curator Cuauhtémoc Medina. Cuauhtémoc Medina is critic, curator and art historian, holds a PHD in History and Theory of Art (PhD) from the University of Essex, UK and a degree in History from Universidad Autónoma de México. He is a research fellow at Instituto de Investigaciones Estéticas of the Universidad Nacional Autónoma de México. Medina was the first Associate Curator of Latin American Art in the collections of Tate Modern and curated events and exhibitions like When Faith moves Mountains with Francis Alÿs (Lima, Peru, 2001), The Age of Discrepancies. Art and Visual Culture in Mexico 1968-1997 (co-curated with O. Debroise, P. García & A. Vazquez, 2007-2008). In 2009 he curated What else could we talk about?, the project by Teresa Margolles presented at the Mexican Pavilion at the Venice Biennale. In 2010 he organised Dominó Caníbal, for PAC Murcia, Spain.
The other members of the curatorial team of Manifesta 9 are associate curators Katerina Gregos and Dawn Ades. Katerina Gregos (born in Athens, Greece; based in Brussels, Belgium) is an art historian, curator and writer. She is currently curator of Newtopia: The State of Human Rights, Mechelen, Belgium. In 2011 she curated the Danish Pavilion at the 54th Venice Biennale, with Speech Matters, an international group exhibition on freedom of speech. That year she was also co- curator of the 4th Fotofestival Mannheim Ludwigshafen in Germany. In 2006/2007 she was the artistic director of Argos – Centre for Art & Media in Brussels and prior to that she was the founding director of the Deste Foundation – Centre for Contemporary Art, Athens. As an independent curator Gregos has also curated numerous international exhibitions including Hidden in Remembrance is the Silent Memory of Our Future, Contour 2009 - The 4th Biennial for Moving Image, in Mechelen, Belgium (2009); Give(a)way: on Generosity, Giving, Sharing and Social Exchange, the 6th Biennial E V+ A: Exhibition of Visual Art, Limerick, Ireland (2006). Katerina Gregos regularly publishes on art and artists in magazines, books and exhibition catalogues, and is a frequent speaker in international conferences, biennials and museums worldwide. She is also a visiting lecturer at HISK – The Higher Institute of Arts, Antwerp.
Dawn Ades is a fellow of the British Academy, a former trustee of Tate and was awarded an OBE in 2002 for her services to art history. She has been responsible for some of the most important exhibitions in London and overseas over the past thirty years, including Dada and Surrealism Reviewed (1978), Art in Latin America (1989) and Undercover Surrealism (2006). Dawn Ades has a remarkably wide knowledge of the social and poetic dynamics of modernism and the avant-garde both in Europe and the Americas.

MANIFESTA 9: THE INITIATORS AND PARTNERS
Manifesta 9 is an initiative of the Manifesta Foundation, based in Amsterdam since 1997, and the Region of Limburg. The team of Manifesta 9 is composed of international experts from former Manifesta biennials working with their colleagues from Genk and the Region of Limburg. Manifesta 9 is generously supported by the City of Genk and a vast number of local, regional, national and international partners and stake-holders. In 2008, Manifesta was appointed Ambassador of Visual Arts of the European Commission, which was renewed in 2011.
Artist List
Historical + Contemporary + Heritage Section:
Grigori Alexandrov, Lara Almarcegui, Leonid Amalrik, Dmitri Babichenko & Vladimir Polkovnikov, Carlos Amorales, Roger Anthoine, Alexander Apóstol, The Ashington Group, Bernd Becher and Hilla, Beehive Design Collective, Olivier Bevierre, Rossella Biscotti, George Bissill, Christian Boltanski, Irma Boom & Johan Pijnappel, Bill Brandt, Marcel Broodthaers, Janet Buckle, Zdeněk Burian, Edward Burtynsky, CINEMATEK [The Royal Belgian Film Archive], Ben Cain, Duncan Campbell, Alberto Cavalcanti, Claire Fontaine, Emile Claus, Rev. Francis William Cobb, Norman Cornish, Nemanja Cvijanović, Gilbert Daykin, Jeremy Deller, Charles Demuth, Manuel Durán, Ecomusée Bois-du-Luc, Max Ernst, Federal Police Archive, Tomaž Furlan, Kendell Geers, Goldin+Senneby, Rocco Granata, Eva Gronbach, Igor Grubic, Jan Habex, Thomas Harrison Hair, David Hammons, Tony Harrison, Nicoline van Harskamp, Josef Herman, Robert Heslop, Emre Hüner, IRWIN (Dušan Mandi, Miran Mohar, Andrej Savski, Roman Uranjek, Borut Vogelnik), Joris Ivens and Henri Storck, Jota Izquierdo, Maryam Jafri, Magdalena Jitrik, Kevin Kaliski, Mikhail Karikis and Uriel Orlow, Willy Kessels, Oliver Kilbourn, Aglaia Konrad, Nicolas Kozakis and Raoul Vaneigem, Erik van Lieshout, Limburgs Museum, Richard Long, Maximilien Luce, Manuel Luque, Oswaldo Maciá, John Martin, Frans Masereel, Michael Matthys, Don McCullin, Tom McGuinness, Don McPhee, Constantin Meunier, vzw Mijn-Verleden [Mijndepot Waterschei], Marge Monko, Henry Moore, Museum van de Mijnwerkerswoning [Museum of the Miner's House], Arthur Munby, Haifeng Ni, Nederlands Mijnmuseum (Dutch Mine museum), Georg Wilhelm Pabst, Keith Pattison, Henry Perlee Parker, Pierre Paulus de Châtelet, Raqs Media Collective (Jeebesh Bagchi, Monica Narula, Shuddhabrata Sengupta), William Rittase, Rijksarchief (State archive), William Heath Robinson, Roumeliotis Family, Bea Schlingelhoff, Lina Selander, Kuai Shen, Robert Smithson, Praneet Soi, Joseph Stella, Suske & Wiske [Standaard Uitgeverij], Graham Vivien Sutherland, Denis Thorpe, Ante Timmermans, Yan Tomaszewski, Jan Toorop, Ana Torfs, Turkish Union, Maarten Vanden Eynde, Antonio Vega Macotela, Bernar Venet, Georges Vercheval, Katleen Vermeir and Ronny Heiremans, Visible Solutions LLC (Sigrid Viir, Taaniel Raudsepp, Karel Koplimets), Paolo Woods

Image: Burtynsky, Edward, China, Manufacturing, 2005. Selection of eight photographs, variable dimensions. Copyright: the artist. Supported by: Galeria Toni Tàpies, Barcelona. Courtesy: Nicholas Metivier Gallery, Toronto, Stefan Röpke Gallery, Köln.

PLAMEN DEJANOFF: THE BRONZE HOUSE - MAMBO,BOLOGNA



PLAMEN DEJANOFF
THE BRONZE HOUSE
a cura di Gianfranco Maraniello
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni 14 – Bologna
dal 1 giugno al 9 settembre 2012

Dal 1 giugno al 9 settembre 2012 il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna apre i suoi spazi espositivi a Plamen Dejanoff per ospitare The Bronze House, una spettacolare mostra a cura di Gianfranco Maraniello che si inserisce nel percorso di avvicinamento alla costruzione del più prezioso e imponente monumento in bronzo mai realizzato nell’arte moderna e contemporanea.
Con The Bronze House Plamen Dejanoff intraprende il progetto a lungo termine più ambizioso finora mai realizzato nel corso di una carriera orientata verso l’esplorazione dei legami tra arte e processi economici e l’indagine sul ruolo dell’artista e le sue possibilità operative nella società contemporanea, che lo ha reso una figura controversa e spiazzante, costantemente in bilico tra un’abile manipolazione di strategie estetiche mutuate da dinamiche tipiche della società tardo-capitalista globalizzata e una critica ironica quanto disincantata al sistema dell’arte.
L’artista inizia nel 2006 a delineare e sviluppare il monumentale progetto Planets of Comparison per la sua città natale Veliko Tarnovo, un affascinante centro di origine medievale che conserva ancora oggi intatte le tracce del glorioso passato di capitale del Secondo Impero Bulgaro. Nel centro della città Dejanoff acquisisce una serie di cantieri in cui prevede di costruire alcune infrastrutture in bronzo per la creazione di un centro culturale di utilizzo pubblico che comprenda una biblioteca, un cinema, un teatro, uno spazio espositivo, un laboratorio per la produzione artistica. Successivamente il suo intento originario si modifica estendendosi fino al concepimento di una impresa più ampia e complessa - in cui l’artista riveste contemporaneamente le funzioni di manager, curatore, architetto, designer e collezionista - la cui riuscita è subordinata alla compartecipazione di un network di partners internazionali tra artisti, curatori, collezionisti, musei, gallerie e case editrici.
Per raccogliere i fondi necessari all’attuazione della sua idea, Dejanoff istituisce una specifica Fondazione che promuove attraverso una meticolosa strategia di marketing.
1 Al termine del processo di completamento degli edifici, ogni casa-scultura dovrebbe essere costituita da moduli in bronzo, ognuno dei quali interamente realizzato a mano secondo principi ingegneristici high-tech: elementi della facciata e del pavimento, porte, pareti, scale e pezzi di giunzione con cui è assemblata l’intera struttura.
The Bronze House è il primo di questi interventi architettonici, veri e propri ambienti scultorei, a prendere concretamente forma in una colossale villa di oltre 600 metri quadrati destinata ad essere assemblata in Bulgaria, le cui fasi di avanzamento nel processo di costruzione vengono presentate in un percorso espositivo itinerante che ha già coinvolto alcune prestigiose istituzioni museali europee, tra cui il MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, il MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna, il Kunstverein di Amburgo e, a seguire la tappa italiana al MAMbo, il FRAC Champagne Ardenne di Reims.
Gli straordinari volumi della Sala delle Ciminiere del Museo valorizzano la monumentalità dell’opera scultorea presentando una versione composta da circa 260 elementi che si sviluppano in verticale fino alla vertiginosa altezza di oltre 8 metri, per un peso complessivo di oltre 18 tonnellate. In essa l’artista gioca con la griglia architettonica vuota come un modello ideale, astraendo la decorazione di edifici storici nella traduzione di una struttura aperta.
La scelta di un materiale come il bronzo, di utilizzo classico nelle pratiche artistiche ma del tutto anticonvenzionale in ambito architettonico, rappresenta una sfida sia per le modalità costruttive tradizionali sia per la lavorazione dei singoli elementi, vere e proprie opere d’arte in sé solo in apparenza identici, mentre la tecnica di combinazione modulare a incastro si ispira alle trame degli elementi decorativi caratteristici delle case popolari in legno della regione, espressione di quella architettura vernacolare organica che un affascinato Le Corbusier descrive nel suo libro Viaggio in Oriente.
La ripetizione del modulo in un andamento verticale di identiche unità prende ispirazione dalla celebre Colonna Infinita realizzata nel 1938 da Costantin Brancusi, collocata nel parco pubblico della città romena di Târgu Jiu, a breve distanza dal paese nativo Hobiţa. La scultura - una costruzione in ghisa laminata alta oltre 30 metri simbolo dell’opera d’arte come totem inaccessibile, astorico e atemporale - si caratterizza per non avere né un centro né un inizio né una fine, riprendendo le antiche forme lignee dei pilastri che sorreggono le tradizionali case rumene, a simboleggiare un ideale diagramma dell’infinito.

Una seconda fonte di influenza dichiarata da Dejanoff per il concepimento dell’opera è inoltre la Chinati Foundation istituita negli anni Settanta da Donald Judd a Marfa in Texas, uno dei più spettacolari esempi al mondi di collezione di arte ambientale, dove l’artista americano stabilisce l’insediamento di una colonia di artisti per favorire la creazione di opere non compatibili con le normali strutture espositive e museali. Una sfida avventurosa analoga sembra voler intraprendere Plamen Dejanoff con la decisione di fondare un sorprendente e inaspettato microcosmo culturale in una città periferica come Veliko Tarnovo che, nonostante la rilevante importanza storica attestata dalla dichiarazione di Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco, gode di scarsa capacità attrattiva e appare urbanisticamente immutata rispetto alla rappresentazione che Le Corbusier ne fece in alcuni disegni. Dejanoff sceglie di sperimentare qui, in un luogo periferico ragionevolmente privo di senso ai fini della costruzione di un consenso che legittimi la sua esistenza nel sistema dell’arte e della cultura contemporanee, una sofisticata azione di branding, non priva di ironia, che renda la città una meta turistica tra le più desiderabili in Bulgaria all’insegna dello slogan “Se il futuro incontra il passato”.
Il processo concettuale che porta l’artista a progettare un modello di economia politica dell’arte speculare alla società e alle convenzioni dell’arte odierne si risolve nella creazione di opera d’arte totale altamente suggestiva, che apre la riflessione su alcune questioni come i meccanismi e le finalità con cui le istituzioni museali occupano spazi ideologici, e le implicazioni che derivano quando è un artista a ospitare un museo e non viceversa.
Solo la compiuta e funzionale conclusione di questo progetto rivoluzionario potrà decretare se la scommessa di Plamen Dejanoff sulla possibilità di determinare un procedimento di creazione di un valore riconosciuto nell’attuale sistema dell’arte mondiale avrà il successo come esito finale.
Completano il percorso espositivo della mostra modelli e prototipi architettonici, plastici, schizzi, disegni e collages ad approfondire le diverse fasi di studio per la realizzazione dell’opera, oltre ad alcune opere installative che si muovono tra arte concettuale e immaginario iper-pop: giocattoli, cani, aspirapolvere, fiori, ruote, arredi contrassegnati dal marchio identitario “Dejanoff” secondo un dispositivo più tipico di un display commerciale che di un’esposizione di opere d’arte in un contesto museale.

In occasione della mostra viene pubblicato per le Edizioni MAMbo un Instant Book in versione bilingue (italiano / inglese), contenente un testo di Gianfranco Maraniello con interventi di Plamen Dejanoff, corredato da un ampio apparato iconografico.
Durante l’intero periodo di apertura della mostra il Dipartimento educativo MAMbo propone visite guidate e attività dedicate. Per info e prenotazioni: tel. +39 051 6496652 (dal lunedì al venerdì, h 10.00–13.00); tel. +39 051 6496611 (dal sabato alla domenica h 10.00- 17.00).
La mostra dedicata a Plamen Dejanoff afferisce al filone di ricerca denominato Criticism che il MAMbo porta avanti fin dal 2006, ovvero un percorso di riflessione e di indagine sulle pratiche artistiche e sulla funzione del museo contemporaneo, che ha coinvolto artisti quali Ryan Gander, Paolo Chiasera, Markus Schinwald, Giovanni Anselmo, Christopher Williams, Bojan Sarcevic, Adam Chodzko, Eva Marisaldi, Diego Perrone, Ding Yi, DeRijke\De Rooij, Guyton\Walker, Natasha Sadr Haghighian, Trisha Donnelly, Sarah Morris, Seth Price, Matthew Day Jackson e Marcel Broodthaers.

Plamen Dejanoff nasce nel 1970 a Veliko Tarnovo (Bulgaria) e attualmente vive e lavora a Vienna.
Tra le mostre personali realizzate: Galerie Emanuel Layr, Vienna (2012); Kunsthal Antwerpen (2012); Kunstverein, Amburgo (2011); Hafencity, Amburgo (2011); MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna (2010); Pinksummer, Genova (2010); MNAC National Museum of Contemporary Art, Bucarest (2009); Galerie Nicola Von Senger, Zurigo (2008); Jan Winckelmann, Berlino (2007); MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation, Vienna (2006); Gallery Space, Bratislava (2005); La Salle de Bains, Lione (2004); Quarantine Series, Amsterdam (2003); Palais de Tokyo, Parigi (2002).
Lavori di Plamen Dejanoff sono stati esposti in numerose esposizioni collettive tra cui: Deutsche Geschichten, GFZK Galerie für Zeitgenössische Kunst, Lipsia (2007); Shanghai Biennale, Shanghai Art Museum, Shanghai (2006); FASTER! BIGGER! BETTER!, ZKM, Karlsruhe (2006); Who ́s to follow?, De Appel Foundation, Amsterdam (2004); 1. Prague Biennale, Praga (2003); 2. Berlin Biennale, KW, Berlino (2001); Encounters, Tokyo Opera City Art Gallery, Tokyo (2001); The Constructing of an Image/Germany, Palazzo delle Papesse, Siena (2001); Expanded Design, Salzburger Kunstverein, Salisburgo (1999); Dream City, Kunstverein München, Monaco (1999); After the Wall, Moderna Museet, Stoccolma (1999).

ALAIN BADIOU: LES ANNÉES ROUGES- LES PRAIRIES ORDINIAIRES 2012


ALAIN BADIOU
LES ANNÉES ROUGES
Les prairies ordinaires, 18/5/2012
collection "Essais"

On a dit tout et n'importe quoi à propos du maoïsme d'Alain Badiou, mais qui a lu Théorie de la contradiction, De l'idéologie et Le Noyau rationnel de la dialectique hégélienne ? Les Années Rouges, qui réunit pour la première fois ces trois ouvrages, propose de revenir sur ce moment méconnu de la carrière de Badiou. À présent que l'auteur est pleinement entré dans l'histoire de la philosophie, il convenait de combler une lacune en permettant aux lecteurs contemporains de comprendre la trajectoire qui l'a conduit du Concept de modèle à l'élaboration de Théorie du sujet.
Mais il s'agissait surtout de montrer que, dans l'oeuvre de Badiou, la polémique n'a jamais été séparable de la philosophie et travaille la philosophie de l'intérieur. La pérennité du maoïsme réside sans doute ici : dans un engagement de la philosophie au présent, visant à en dégager la nouveauté et les lignes de fracture. A l'opposé des divers retours de la philosophie politique qui ont dominé les dernières décennies, Badiou montre que la philosophie, y compris la plus spéculative et la plus métaphysique, est en soi politique.
Revenir sur les années rouges et le moment maoïste, c'est donc aussi renouer avec un geste, réactiver une époque que les défenseurs de l'ordre néolibéral auraient préféré ne voir jamais reparaître.

ROBERT DARNTON: POETRY AND POLICE - BELKNAP PRESS 2010


ROBERT DARNTON
POETRY AND POLICE
Communication Networks in Eighteenth-Century Paris
The Belknap Press of Harvard University Press
november 2010

In spring 1749, François Bonis, a medical student in Paris, found himself unexpectedly hauled off to the Bastille for distributing an “abominable poem about the king.” So began the Affair of the Fourteen, a police crackdown on ordinary citizens for unauthorized poetry recitals. Why was the official response to these poems so intense?
In this captivating book, Robert Darnton follows the poems as they passed through several media: copied on scraps of paper, dictated from one person to another, memorized and declaimed to an audience. But the most effective dispersal occurred through music, when poems were sung to familiar tunes. Lyrics often referred to current events or revealed popular attitudes toward the royal court. The songs provided a running commentary on public affairs, and Darnton brilliantly traces how the lyrics fit into song cycles that carried messages through the streets of Paris during a period of rising discontent. He uncovers a complex communication network, illuminating the way information circulated in a semi-literate society.
This lucid and entertaining book reminds us of both the importance of oral exchanges in the history of communication and the power of “viral” networks long before our internet age.

FRANCESCA GALLIANI: ANGOLA, LA MAGIA DELL'ADESSO - VISIONQUEST GALLERY, GENOVA



FRANCESCA GALLIANI
ANGOLA: LA MAGIA DELL'ADESSO
Visionquest gallery
Piazza Invrea 5/b e 4 r, Genova
dal 31/5/2012 al 29/7/2012

Cercare sempre di eliminare la barriera che la separa dai soggetti che ritrae, in modo duro, diretto a volte rischioso; la fotografia di Francesca Galliani, ma per lei è più corretto parlare di arte, nasce da questo desiderio, dal bisogno, quasi tormentato di comunicare agli altri l’energia vitale che mantiene vivi e che spinge a combattere tutti i giorni.
In queste opere uniche, che partono dal lavoro fotografico sulla danza scattato in Angola, Galliani ci offre la gioia, la passione e pulsione del momento della danza. Tutto il resto, in quel momento, cessa di esistere, la realtà di ogni giorno del paese, la povertà, la lunga storia di colonizzazione portoghese, le guerre civili.
Gli interventi post-fotografici di colore, pittura, scrittura, collage, ritagli, sovrapposizioni di oggetti o materiali che possono far sembrare le opere delle tele “sporche”, colorate, piene di scritte, un misto di fotografia, pittura e slogan, sono invece la precisa e determinata testimonianza dell’artista del proprio vissuto. Anima e corpo diventano come lei stessa racconta “sopravvivenza, potenza fisica e impulso sessuale… raccontate con la stessa poetica, senza pregiudizio e senza glorificazione”.
Si abbattono le regole dell’obbiettività, della messa in scena, e ci ritroviamo immersi in sensazioni e suggestioni fisiche ed emotive. La danza come simbolo e celebrazione di vita, gioia, divertimento, appagamento fisico e interiore dell’adesso. Fisici scultorei che magnificano la magia dell’anatomia umana e la sua sensualità.

Francesca Galliani nasce in Italia ma si trasferisce negli Stati Uniti per studiare alla Corcoran School of Art a Washington DC. Dopo la BFA inizia la sua carriera a New York City la sua nuova città. Nel 1995 vince il Kodak European Panorama Award ad Arles. Numerose le mostre che la vedono esporre in tutto il mondo accanto a nomi come Helmut Newton, Robert Mapplerthorpe, Pierre et Gilles, David LaChapelle, Joel-Peter Witkin, Man Ray e Marina Abramovic. Ha lavorato per riviste come Detour, Vogue, Velvet e D e come conclusione alla sua carriera commerciale, la creazione di 'Blue' la campagna pubblicitaria di Levi’s, che, grazie al suo enorme successo, è stata esposta alla Triennale di Milano.
Numerosi i viaggi per il mondo allo scopo di catturare diverse realtà ed esprimere la sua grande sensibilità. I suoi lavori sono stati pubblicati in tutto il mondo ed è apparsa in "Real" (Charta), "Women by Women" (Prestel), "The Nude Ideal and Reality" (Skira) e il suo nuovo libro 'Portrait of the new Angola' (Skira/Rizzoli) uscirà nell’autunno del 2012.

martedì 29 maggio 2012

EXPLOSION! PAINTING AS ACTION - MODERNA MUSEET, STOCKHOLM




EXPLOSION!
Painting as Action
curated by Magnus af Petersens
Moderna Museet
Island of Skeppsholmen, Stockholm
30/5/2012 - 9/9/2012

Kazuo Shiraga painted with his feet, suspended by ropes above the canvas, Andy Warhol or his assistants urinated on the canvas, Shozo Shimamoto hurled paint-filled glass bottles at his paintings, and Niki de Saint Phalle fired a rifle at her panels that she had prepared with balloons of paint under layers of plaster. The major exhibition this summer, Explosion, features works by some 50 artists from the late 1940s to today.
After the Second World War, many artists wanted to start from scratch by attacking painting, which was seen to represent artistic conventionality. Moderna Museet’s exhibition Explosion takes off where modernism ends; when it was so ripe that it was on the verge of exploding. Which it did, in the form of a variety of new ways of making art. Practically every door was opened with an aggressive kick, and a new generation of artists began seeing themselves not as painters or sculptors but simply as artists, who regarded all materials and subjects as potential art. That is how the American artist and writer Allan Kaprow, the man who invented the word “happening”, described the situation in 1956 in his now legendary The Legacy of Jackson Pollock. Even if doors were opened to all techniques, much of the new art – happenings, performance and conceptualism – sprang from new approaches to painting. There was a development, a shift of focus, from painting as an art object and as representation, to the process behind the work, to the ideas that generate art, and performative aspects.

“In Explosion we want to explore the performative and conceptual elements in painting, and the painterly elements in conceptualism and performance,” says exhibition curator Magnus af Petersens.

The exhibition follows a theme that runs from Jackson Pollock’s drip paintings, via John Cage’s fascination for chance as a method for creating art, to performance and contemporary conceptual approaches. For the first time in Sweden, this exhibition also presents the Japanese artist group Gutai (1954-1972), which operated in radical ways in the borderland between painting and performance, anticipating many later artistic practices and strategies such as conceptualism, land art and installation. In Europe they exhibited together with artists from the nebulous artist group Zero, also featured in Explosion with works by the co-founders Günther Uecker and Otto Piene and others.
Explosion shows works from the late 1940s to today, by some 50 artists from all over the world, in an attempt to put the American-European art canon in a broader context. The exhibition comprises paintings, photos, videos, performance, dance and audio works, instructions and pieces that invite audience participation. Since the exhibition includes action rather than focusing exclusively on painting, performance and documentations of performance are a vital part of the material that is presented, not least the early photographs of Jackson Pollock and Yves Klein in their performance-like painting acts, which have provoked many artistic comments, including works by Lynda Benglis and Janine Antoni, who are featured in Explosion. This group exhibition is both historical and contemporary, it adheres to no particular style or ism, and is not confined to a geographically limited art scene, but reveals the kinship between apparently unrelated artistic approaches.
Explosion! Painting as action was produced by Moderna Museet and will tour to Fundació Joan Miró in Barcelona in autumn 2012.

ROBERTO CUOGHI: ZOLOTO - MASSIMO DE CARLO. MILANO



ROBERTO CUOGHI
ZOLOTO
Massimo De Carlo
Via G. Ventura 5 - Milano
dal 30/5/2012 al 6/7/2012

Il 30 maggio 2012 Massimo De Carlo inaugura a Milano la mostra di Roberto Cuoghi dal titolo ZOLOTO. Il motivo guida della terza personale dell’artista alla galleria è la caricatura al proprio lavoro, risultato di un arrovellamento sulle definizioni, sull’inganno dell’apparenza e sugli sconfinamenti tra interiorità ed esteriorità. L’insofferenza che l’artista avverte, di rimbalzo, riguardo ai significati attribuiti al proprio lavoro è in mostra sotto forma di parodia.

I disegni e le opere pittoriche sono personificazioni che volutamente non arrivano a meritare qualifica di autoritratti. Declinazioni possibili dell’autore, ragionamenti e fantasie su scelte non fatte, oppure estensioni di caratteristiche prese una alla volta e sigillate in una dimensione più radicale. Ogni volto è una risposta sotto forma di proiezione, ammissibile o impietosa, oppure autocelebrativa, come la serie che si riferisce a una marca di sigari economici: una puntualizzazione sulla decisione, a ventiquattro anni, di cambiare drasticamente il proprio aspetto in quello di un uomo di mezza età. Definita come trasfigurazione nel proprio padre, l’immagine di riferimento è invece sempre stata un piccolo ritratto sul marchio di sigari che l’artista consumava per attestare nuove abitudini di comportamento.

Il presupposto caricaturale prosegue in mostra attraverso una sorta di messa in ridicolo del Dio Babilonese Pazuzu, di cui l’artista ha realizzato nel 2008 un ingrandimento statuario partendo dalla scansione dell’originale amuleto conservato al Musée du Louvre di Parigi.
Sotto tiro è il principio di immanenza, per cui lo spirito del Demone penetra nella sostanza di ogni sua rappresentazione. In un vorticoso conflitto di valori, il Monoteismo, fondato sulla proibizione a venerare altri Dei e a costruirne immagini, non fa che accreditare il principio cui si oppone, attraverso i Divieti Sacrali. Il Dio geloso della Rivelazione, non nega affatto il preconcetto animistico, al contrario, lo accredita, minacciando di punire la disobbedienza dei padri nei figli, fino alla quarta generazione.
Segnalando il difetto all’origine, che ha strutturato il pensiero occidentale per accomodamenti più che per rigore, l’artista propone soluzioni per intralciare l’incarnazione dell’idolo.

Le conseguenze per disattivare la questione originaria partono dalla moltiplicazione speculare del Dio fuso in se stesso, imbarazzando nell’intima natura la sua funzione di amuleto, costretto in direzioni opposte. Le riproduzioni si animano così della volontà di percepire uno spirito inassimilabile alle proprietà dell’oggetto: imbrogliato dalla sua anatomia o da materiali strategicamente contro-pervasivi, fino a un ricettacolo di 177 teste unificate in un reticolo plastico. Risalendo alla radice tra immaginazione e figurazione appare, in tutta la sua demenzialità, la sfida della trascendenza.

Roberto Cuoghi è nato a Modena nel 1973. Vive e lavora a Milano. Tra le mostre personali più recenti quella all’ UCLA Hammer Museum, Los Angeles, 2011; Šuillakku al Castello di Rivoli e all’ICA, Londra, 2008; Foolish Things, a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Alessandro Rabottini, Eldorado project room, GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Bergamo, 2003. Cuoghi ha partecipato a numerose esposizioni collettive presso le più importanti sedi espositive italiane e internazionali come Surreal versus Surrealismo en el arte contemporáneo, IVAM Centre Julio Gonzales, Valencia, 2011; 10000 Lives, a cura di Massimiliano Gioni, Gwangju Biennale, Gwangju, 2010; Skin Fruit: Selections from the Dakis Joannou Collection, a cura di Jeff Koons, New Museum, New York, 2010; Italics: Arte Italiana fra Tradizione e Rivoluzione, 1968-2008, a cura di Francesco Bonami, Palazzo Grassi, Venezia, 2008; Italian Mentalscapes, a cura di Demetrio Paparoni, Tel Aviv Museum of Art, Tel Aviv, 2007; Biennale Cuvée - World Selection of Contemporary Art, OK Center for Contemporary Art, Linz, 2006; Polyphonix 40, a cura di Manuela Corti, Centre Georges Pompidou, Parigi, 2002.

IL MANUALE DI CHRISTIAN KÖSTER E IL RESTAURO - EDIFIR 2012


CHRISTIAN KÖSTER
IL MANUALE DI CHRISTIAN KÖSTER
e il restauro in Italia e in Germania dal 1780 al 1830
Edifir, 9/5/2012
collana "Storia e teoria del restauro"

Il trattato di Köster viene sempre citato come il primo manuale di restauro pubblicato in Europa (nel 1827), ma è difficile trovare ulteriori informazioni riguardo a questo testo che, in Italia, risulta praticamente sconosciuto anche agli specialisti. Esso infatti non è mai stato tradotto in italiano e, non essendo stato più ristampato, al momento risulta difficilmente reperibile anche in Germania. In realtà il trattato di Koster, accanto a un indubbio interesse tecnico, presenta anche una notevole rilevanza storico-culturale poiché l'autore, che fu anche scrittore e musicista, era in contatto con i maggiori intellettuali del suo tempo (Goethe, von Humboldt, Waagen etc.) ed il suo pensiero appare profondamente influenzato dal primo Romanticismo tedesco. S'è quindi ritenuto utile aggiungere a questa prima traduzione italiana un ampio saggio introduttivo che ha lo scopo di contestualizzare l'attività di Köster nel mondo tedesco del primo Ottocento e di confrontare le sue idee e i suoi metodi di restauro con quanto, negli stessi anni, veniva fatto in Italia. In tale confronto rientra anche il manuale “De la restauration des tableaux”, pubblicato a Parigi nel 1837 dal piemontese Giovanni Bedotti poiché questo testo, pur essendo scritto in francese, è profondamente legato, per l'origine e la formazione dell'autore, al restauro italiano.

MASSIMO LIMONCELLI: IL RESTAURO VIRTUALE IN ARCHEOLOGIA - CAROCCI 2012


MASSIMO LIMONCELLI
IL RESTAURO VIRTUALE IN ARCHEOLOGIA
Carocci, 29/03/2012
collana "Biblioteca di testi e studi"

Il restauro virtuale è l'insieme di metodologie informatiche integrate di Computer Graphic, sia bidimensionali che tridimensionali, finalizzate alla restituzione di un bene archeologico, architettonico o artistico nella sua completa, o quasi, integrità. Questa nuova disciplina, che sta progressivamente affermandosi in ambito accademico, coniuga le attività e le metodologie di ricerca proprie delle cosiddette hard sciences con quelle più tradizionali di estrazione umanistica. Il virtuale è entrato a far parte della ricerca archeologica dapprima con un ruolo didattico-divulgativo (ricostruzioni ideali di edifici, città, territori ecc.), e, solo più recentemente, con fini conoscitivi, costituendo un aggiornamento dei tradizionali studi rivolti alla ricostruzione dei manufatti antichi. Per cui, in ambito archeologico, il restauro virtuale non deve essere inteso come modalità di ricostruzione ideale di un manufatto, bensì come metodologia per la verifica e la sintesi dei dati analitici. Il libro si rivolge a studenti di Archeologia, Storia dell'Arte e Restauro che intendano applicare le tecnologie informatiche ai propri settori di ricerca, introducendoli in maniera agile all'interno del vasto mondo del virtuale secondo un percorso metodologico comune.

SOTTO LA BUONA STELLA / UNDEER THE LUCKY STAR - MUSEO DI VILLA CROCE, GENOVA




SOTTO LA BUONA STELLA / UNDER THE LUCKY STAR
Rosa Leonardi: 40 anni di ricerche
dall'astrattismo alla video arte
Museo d’arte contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3 – Genova
dal 30 maggio al 30 giugno 2012

Nel decennale della scomparsa il Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce ricorda Rosa Leonardi, gallerista e operatrice culturale nel senso ampio del termine, con la mostra “Sotto la buona stella” che riunisce oltre cento lavori (di artisti “storici” e di giovani, con una presenza importante di video) raccolti nel corso dei suoi quarant’anni di attività, dal marzo del 1963, quando con Edoardo Manzoni inaugura nel centro storico di Genova, in Vico Morchi, la galleria La Polena, sino al giugno 2002.
Dopo un periodo di orientamento, la linea della Polena si indirizza verso l’astrattismo con mostre dei maestri italiani d’anteguerra (Magnelli, Radice, Rho, Veronesi, Soldati e, soprattutto, Reggiani) ed europei (Sonia Delaunay, Vasarely, Glattfelder, Bill, Lohse), aprendo alle ricerche di Fontana (che nel 1966 allestisce in galleria uno dei suoi celebri “ambienti spaziali”) e alle esperienze dei tedeschi del Gruppo Zero (Mack, Piene, Uecker), come dei genovesi Rocco Borella e del Gruppo Tempo 3 (Bargoni, Carreri, Esposto, Stirone, accompagnati dal fiorentino Guarneri). Cruciali in quegli anni gli incontri, oltre che con Fontana, con Castellani, Dadamaino e Calderara, che rimarranno in seguito punti di riferimento irrinunciabili. Attraverso le mostre allestite in galleria ha inoltre modo di seguire da vicino la vicenda dell’arte cinetica (con la rassegna “Proposte strutturali plastiche e sonore” del ’64-’65, curata da Umbro Apollonio e ordinata da un giovanissimo Germano Celant e personali di Alviani, Gruppo Enne, Morellet, Soto, Cruz-Diez, Le Parc ecc.), fondamentale nel radicare il suo interesse per il rapporto fra arte e tecnologia.

Lasciata la Polena dopo un quindicennio, Rosa Leonardi collabora per breve tempo con alcune gallerie genovesi (Galleriaforma, Samangallery, Locus Solus) prima di aprire nel 1985 un nuovo spazio, lo Studio Leonardi, con una mostra dei Giovanotti Mondani Meccanici (“Nel vuoto del ritorno”). Senza dimenticare il cammino già percorso (ritornerà, fra l’altro, su Tempo 3, Günther Uecker, Rabinowitch, Calderara, Guarneri), inaugura così una nuova stagione nella quale la video arte e le video installazioni (citiamo per tutte la rassegna “La lingua ibridata” con Camerani, Hammann, Plessi e vom Bruch) acquisiscono una tempestiva centralità, affiancate al lavoro con artisti Fluxus (in particolare con Giuseppe Chiari e Takako Saito), alla riproposta delle esperienze del Bauhaus Immaginista (mostre di Pinot Gallizio e di Piero Simondo) ed a puntate verso il concettuale storico (Agnetti) e nuovo (Costantino, Formento-Sossella).
Altri tratti caratteristici sono l’apertura verso gli artisti più giovani (fra i quali spicca il nome di Maurizio Cattelan); la collaborazione con istituzioni culturali italiane (in specie con il LAB, Laboratorio di Arte Contemporanea della Lunigiana) ed estere (Goethe Institut, Pro Helvetia); l’organizzazione di mostre in sedi pubbliche (fra cui, nel 1995 “Tra il fisico e l’ottico”, a cura di Viana Conti, a Palazzo Ducale; “Antonio Calderara: opere dalla Fondazione Calderara di Vacciago d'Orta” al Museo di Villa Croce).
Recentemente la sua raccolta di opere video è stata digitalizzata ad opera di Alessandra Visentin nell’ambito di una tesi di dottorato ed acquisita dall’ADAC, l’Archivio di Arte Contemporanea dell’Università di Genova.

La mostra, curata da Sandro Ricaldone in collaborazione con Giorgia Barzetti, Gianfranco Pangrazio e Alessandra Visentin è stata realizzata dal Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce in con il supporto dell’associazione Leonardi V-idea, che ha proseguito l’attività di Rosa Leonardi dopo la sua scomparsa, e del MUCAS (Museo del caos).

Nel corso della mostra verranno presentati due video inediti incentrati sulla figura di Rosa Leonardi.

Inaugurazione: mercoledì 30 maggio 2012, ore 18,00.

http://www.rosaleonardi.org/

domenica 27 maggio 2012

RICHARD PRINCE: 14 PAINTINGS - 303 GALLERY, NEW YORK



RICHARD PRINCE
14 PAINTINGS
303 Gallery
547 W 21st Street - New York
18 May - 23 June 2012

303 Gallery is pleased to announce our first exhibition of new works by Richard Prince since 1991.

Some people see leaves falling from a tree and see it as, leaves falling from a tree. Others see it as an inexhaustible mystery of the signified from the mundane closed-off simulation of a world sign.
The world is intolerably dreary. You escape it by seeing and naming what had heretofore been unspeakable.
Naming the unnamable and hearing it named.
These paintings should be shown to the man from Mars.
Want to free yourself from experience? Don't pay any attention to it.
You don't address an audience, you create an audience.
The best images have sensations of unreality, illimitable vastness, brilliant light, and the gloss and smoothness of material things.
A joke is a reaction to the main event of any culture. It recovers the integral person.
These paintings could have been played at CBGB's.
I like consenting to be part of a dynamic mechanism in an artificially contrived situation. In other words, I like to play the game.
The higher you climb, the more I see of your ass.
Texture instead of semantic meanings.
Normality as a special effect might be another from of hysteria.
These paintings are like an unrecognized dinosaur... a beautifully feathered tyrant.


In association with Gagosian Gallery.

Richard Prince was born in 1949 in the Panama Canal Zone. His work has been the subject of major survey exhibitions, including Whitney Museum of American Art, New York (1992); San Francisco Museum of Modern Art (1993); Museum Boijmans van Beuningen, Rotterdam(1993); Museum für Gegenwartskunst, Basel (2001, traveled to Kunsthalle Zurich and Kunstmuseum Wolfsburg); Serpentine Gallery, London (2008). The retrospective "Richard Prince: Spiritual America" opened at the Solomon R. Guggenheim Museum in 2007 and traveled to The Walker Art Center, Minneapolis in 2008.

ADRIANO OLIVETTI: MEMORIE PER LA SOCIETÀ DEL FUTURO - SCIENZE DELLA FORMAZIONE, FIRENZE 28/5/2012



ADRIANO OLIVETTI
MEMORIE PER LA SOCIETÀ DEL FUTURO
Universita' di Firenze - Facolta' di Scienze della Formazione
via Laura 48 - Firenze
lunedì 28 maggio 2012, h. 16,00

Memorie per la societa' del futuro. Tavola rotonda a cui interverranno: Carlo Sorrentino, docente di Sociologia dei processi culturali UNIFI, con una relazione dal titolo "Adriano Olivetti e le comunita' (di pratiche)"; Michele Fasano, regista e produttore indipendente, con "La saggezza del modello olivettiano; Patrizia Bonifazio, docente di Storia urbana Politecnico di Milano, con "Le eredita' non sono mai banali. La 'fabbrica' di Adriano Olivetti". Modera Luca Toschi, direttore del Communication Strategies Lab. Nel corso dell'evento saranno proiettati frammenti del documentario "In me non c'e' che futuro... Ritratto di Adriano Olivetti", prodotto e diretto da Michele Fasano (2011). Alle 20.30 presso Odeon Firenze in piazza Strozzi, proiezione dell'intero documentario alla presenza del regista (ingresso intero euro 6, ridotto euro 5).

SLAVOJ ZIZEK: L'ISTERICO SUBLIME - MIMESIS 2012

SLAVOJ ZIZEK
L'ISTERICO SUBLIME
Psicanalisi e filosofia
Mimesis, 23/5/2012
collana "Volti"

I rapporti tra psicanalisi e filosofia sono l’argomento centrale di quest’opera fondamentale di Žižek, “il gigante di Ljubljana”, un autore che sta conoscendo anche in Italia la fama di pensatore di primo piano della modernità che già gli è stata attribuita in tutto il mondo. Le origini filosofiche della psicanalisi sono in Kant, riletto con gli occhiali di De Sade, mentre il godimento diventa l’equivalente generale di una teoria economica del plusvalore. La psicanalisi, da Freud a Lacan, viene utilizzata come grimaldello per mettere a nudo il non detto della filosofia classica tedesca. Un esercizio che conduce le figure della dialettica hegeliana a reincarnarsi nella trama di un discorso sull’isteria. Nel frattempo i paradossi di Zenone diventano la metafora di un godimento sempre rinviato.

ISOLE: COORDINATE GEOGRAFICHE E IMMAGINAZIONE LETTERARIA - MIMESIS 2012


ISOLE
Coordinate geografiche e immaginazione letteraria
a cura di Nicoletta Brazzelli
Mimesis, 16/5/2012
collana "Triniade. Paradigmi dell'immaginario tra letteratura e geografia"

Le isole esercitano un’attrazione straordinaria sull’immaginario occidentale. Simbolo dell’isolamento, sinonimo di paradiso incontaminato, stimolo per un nuovo mondo da costruire con le regole che vogliamo, metafora di un’essenziale nuova vita fuori dagli schemi. Le isole sono un oggetto di studio che supera e mette insieme gli ambiti disciplinari più diversi. Questo libro racconta tutta la straordinaria ricchezza dell’intreccio di questi discorsi che parlano di vita, letteratura, immaginario e filosofia. In un dialogo continuo tra geografia, turismo, storia, cultura e letteratura, ci accompagna in un viaggio tra realtà e immaginazione. Sul confine labile dell’umano sapere che è sempre creazione a partire dal sogno.

THE KITCHEN COMPANY: GENERALI A MERENDA - TEATRO DELLA GIOVENTU', GENOVA



THE KITCHEN COMPANY
GENERALI A MERENDA
di BORIS VIAN
regia di Luca Avagliano
Teatro della Gioventù
via Cesarea 16 - Genova
19 maggio - 10 giugno 2012

Generali a merenda, di Boris Vian, traduzione, adattamento e regia Luca Avagliano, con Daniele Parisi, Giorgio Regali, Diego Valentino Venditti, Nicola Nicchi, Gabriele Bajo, Antonio Randazzo, L. Avagliano e il musiche composte ed eseguite da Edoardo Simeone, scena Eva Sgrò, costumi Maria Freitas, disegno luci Marco Santambrogio, produzione The Kitchen Company

Generali a merenda fa pensare a quanto siano “stupide” le guerre, quanta ottusità ci voglia per decidere di fare una guerra o, peggio ancora, quanto malaffare ci sia dietro ogni guerra. Questi generali/bambini, come ce li racconta Boris Vian, sono esplicativi di quanta poca intelligenza ci voglia per dichiarare una guerra. Un pensiero e un ringraziamento sincero vanno a Vauro che ha concesso la possibilità di inserire nella locandina dello spettacolo una sua vignetta sulla guerra.

Note di regia di Avagliano
Boris Vian, poeta, drammaturgo, romanziere, jazzista e ingegnere francese, scrive questa commedia nel 1951 a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fresco il ricordo dell’orrore e dell’assurdità di quanto era stato vissuto, Vian lo restituisce con un testo a tratti grottesco, buffo, divertente e per l’appunto assurdo. I personaggi di potere sono ritratti come bambinoni ebeti che danno più importanza ai loro pasticcini che alla Guerra e a quello che comporta, succubi della Mamma e del concetto dell’ “Obbedisco, Sissignore” privato di qualsiasi senso critico. L’esigenza di mettere in scena questo testo oggi è dettata dal fatto che non è un testo per niente datato, privato dei piccoli riferimenti legati al periodo in cui è stato scritto, racconta, universalmente, del potere e della guerra e la guerra, purtroppo, è più che presente, per niente lontana, anche se così sembra, e continua ad essere assurda, devastante, drammatica e legata quasi esclusivamente a questioni puramente politiche ed economiche. La messa in scena racconterà dunque questo teatrino in cui si gioca al potere giocando per l’appunto al teatro. 

Immagiine: Luca Avagliano

FRANZ ERHARD WALTER: SPACE THROUGH ACTION - ZKM, KARLSRUHE



FRANZ ERHARD WALTER
SPACE THROUGH ACTION
curated by Peter Weibel and Andreas F. Beitin
ZKM_Center for Art and Media
Lorenzstrasse 19 - Karlsruhe
dal 25/5/2012 al 9/9/2012

To actively integrate into the sculptural artwork the observer, who is otherwise condemned to mere contemplation – this was fundamentally new when Franz Erhard Walther first established it in his work of the 1960s. Participative object and textile sculpture formulated an offer to the observer to “use” the artwork, to “unfold” the sculpture and to rearrange it. With this, Walther has subjected the understanding of art and the relationship between art and its recipient to a fundamental re-evaluation and amplification. Today he is unquestionably one of the most influential artists of recent decades. Scarcely any other artist has been able to change the definition of what sculpture can be with such foresight and consequence as Walther has done.
The ZKM | Museum of Contemporary Art is now showing, in the context of this year’s main exhibition theme of performativity, a large part of Franz Erhard Walther’s “Stride Plinthes” accompanied by the complete series of “Stand Pieces” that are presented for the first time.
Already in his early photographic works at the end of the 1950s, Franz Erhard Walther began to further the discourse on the definition of sculpture set forth by Marcel Duchamp. The relationship between art, artist, and observer shifted into the focus of artistic creation and the role of the art consumer was questioned by inviting their interaction. Long before artists such as Bruce Nauman, among others, used their own bodies as a sculptural medium, Walther has already put himself and the audience into the work as sculptural “material.”
After completing his studies at K. O. Götz, Franz Erhard Walther set out in 1967 for New York. Just two years later, at an exhibition in New York’s MoMA, he showed his legendary “1. Werksatz” – a 58-part work, that today belongs to the museum’s collection. The exhibition visitor was given the possibility of using the works: these could be unfolded, newly arranged according to the visitors’ ideas, organized among several visitors, or stretched out. According to this basic concept, the first publication by Franz Erhard Walther was titled “OBJEKTE, benutzen (objects, use)” (1968). The book, long out of print, will be republished in a new edition on the occasion of the exhibition at ZKM | Museum of Contemporary Art.
The active engagement with an artistic offer, experiencing haptics of fabrics and materials, the responsiveness of one’s own physicality and the resulting action in the room are some of the reasons that Franz Erhard Walther’s work is still today an extraordinary contribution to contemporary art. His work can be seen as a synthesis of Process art, Minimal art, and Conceptual art and stands in dialogue with numerous prominent positions within contemporary art.

MASSIMO KAUFMANN: THE GOLDEN AGE - MAMBO, BOLOGNA



MASSIMO KAUFMANN
THE GOLDEN AGE
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni, 14 40121 Bologna
dal 24/5/2012 al 2/9/2012

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna dedica a Massimo Kaufmann (Milano, 1963) il secondo appuntamento del ciclo Prospettive. Nuovi percorsi nelle Collezioni del MAMbo. Contrappunti con una mostra intitolata The Golden Age, visibile dal 25 maggio al 2 settembre 2012. Attraverso questo formato, inaugurato nel gennaio 2012 con un progetto di Marco Gastini, il museo intende valorizzare la donazione di opere alla propria Collezione Permanente attraverso un momento espositivo focalizzato sulla contestualizzazione dell’artista e del suo lavoro in un più ampio e articolato percorso di carattere scientifico e didattico.
La generosa donazione del trittico Cecità (olio su tela, 2009) conferma la presenza di Massimo Kaufmann nelle Collezioni del MAMbo, in particolare nella sezione Focus on Contemporary Art dedicata alle ultime generazioni dell’arte italiana, per la quale nel 2008 era stata acquisita l’opera The Golden Age, un dittico olio su tela realizzato a New York in cui si dispiega una rilettura astratta del paesaggio urbano ispirata dall’osservazione attraverso le grandi finestre dello studio dell’artista.
Dal titolo di questa opera, in cui si richiama ironicamente l'idea del raggiungimento dello stato di grazia di una civiltà presagendone la sua decadente trasformazione, mutua denominazione lo speciale approfondimento con cui il MAMbo è lieto di presentare al pubblico il trittico del 2009 unitamente a una selezione di lavori che documentano gli esiti più recenti nella produzione dell’artista milanese.
Protagonista della scena artistica italiana già dalla seconda metà degli anni ’80, dopo aver lavorato con i dispositivi linguistici della trasparenza e del mimetismo in una continua e raffinata manipolazione della realtà, nell’ultimo decennio Massimo Kaufmann orienta la propria ricerca verso una dedizione a valori pittorici, ritrovando temi che nel passato erano stati affrontati con materiali meno tradizionali, come i disegni di silicone su tulle, i disegni con la macchina da scrivere.
L’artista sceglie di operare unicamente su supporti di diverse dimensioni, superfici singole o composizioni articolate in dittici e trittici, agendo sulla tela o sulla carta con pennellate da cui prendono vita forme cellulari di colore pulsante, atomi nebulosi - talvolta più densi talaltra più radi - disposti in modo calibrato, spesso secondo ordini geometrici da cui irradia una luce iridescente che schiude l’occhio dello spettatore verso un universo pulviscolare fatto di astrazione e ornamento decorativo. Esigenze apparentemente opposte trovano mediazione in una pittura in cui pensieri astratti e simboli si materializzano in forma tangibile attraverso il veicolo emozionale del colore.
La dimensione cognitiva ed emotiva della sua pittura, distante da intenti narrativi e didascalici, appare particolarmente evidente nel ciclo dei lavori intitolato Cecità, cui appartiene il trittico donato al MAMbo, caratterizzato dal rigetto assoluto per l’immagine iconica.
Si tratta di opere che l’artista descrive come “quadri ciechi” di consistenza tattile, tracciati con una tecnica della punteggiatura che evoca l’alfabeto Braille utilizzato dalle persone non vedenti. Il linguaggio allusivo di queste immagini annulla ogni possibilità di identificare i soggetti, offrendo infinite possibilità di interpretazione per punteggiature, mappe, reticoli, texture che esplodono in un crescendo ritmico e musicale.
Proprio al tema del tempo come ritmo sembra ritornare incessantemente la poetica di Massimo Kaufmann, fino a costituire la cifra artistica decisiva della sua produzione realizzata nell’ultimo decennio, in cui si cimenta in un estenuante esercizio della pittura dall’aspetto performativo sempre più centrale.
La ripetizione del gesto minimale diviene una sorta di pratica mistica rivolta a esaltare la bellezza di un tempo perso, ritrovato, scandito e indagato in una raffinatissima riflessione formale e teorica. Alla proliferazione molecolare del colore, l’artista affida infatti il tentativo di tradurre sulla tela la condizione esistenziale del tempo liberamente articolato come in una partitura musicale, alla ricerca di una coincidenza possibile tra il ritmo compositivo dell'esecuzione e il tempo della percezione.
In questi esiti, il gesto artistico di Massimo Kaufmann eccede lo specifico pittorico insinuandosi nella profonda essenza della vita per approdare al conseguimento di un piacere estetico puro come priorità stessa dell'atto creativo.

Durante l’intero periodo di apertura della mostra, ogni seconda domenica del mese alle h 18.00 il Dipartimento educativo MAMbo propone visite guidate alla Collezione Permanente con un focus speciale dedicato a Massimo Kaufmann.

In occasione della mostra al MAMbo, Prearo Editore pubblica il volume The Golden Age contenente un’intervista di Antonio Somaini a Massimo Kaufmann, contributi di Gianfranco Maraniello e Riccardo Caldura, oltre a un ampio apparato iconografico.

WALTER BENJAMIN: AURA E CHOC - EINAUDI 2012

WALTER BENJAMIN
AURA E CHOC
Saggi sulla teoria dei media
Einaudi, 29/5/2012
Piccola biblioteca Einaudi. Big

Aura e choc raccoglie in un unico volume i principali studi dedicati da Walter Benjamin al complesso ambito della teoria dei media. Si tratta in parte di testi già noti, che, come fa notare Nadia Fusini nella sua recensione su Repubblica, «ai nostri occhi si rinnovano, proprio perché grazie alla nuova cornice e al corredo dei testi minori si accentua il pensiero dominante del grande scrittore che è Walter Benjamin».
Ad aprire la raccolta, curata da Antonio Somaini e Andrea Pinotti (rispettivamente docente di Cinema e arti visive all’Università di Genova e docente di Estetica all’Università di Milano), il celebre saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, qui presentato nella prima versione dattiloscritta e corredato da un’ampia appendice. In questo saggio, che può leggersi come punto di partenza e chiave interpretativa della sua teoria dei media, Benjamin fa interagire per la prima volta le categorie che perimetrano la presente raccolta: pur essendo già apparse in altri scritti a partire dagli anni ’10, le nozioni di «aura», «choc» e «medium» diventano qui i vertici di un sistema concettuale e argomentativo che, come scrivono i curatori, «è insieme sintetico e programmatico». In questo saggio Benjamin riflette sulle diverse forme di pratiche artistiche, tecniche e comunicative, ed enuncia argomentazioni che svilupperà nelle trattazioni dedicate alle singole forme artistiche raccolte nelle sezioni successive di questo volume, tutte sapientemente introdotte dai curatori: la fotografia e il cinema, la radio e il telefono, il libro e il giornale, ma anche le forme espressive della lingua, della linea e del colore, strumenti ottici come la camera obscura e la lanterna magica, i sistemi di illuminazione urbana e l'architettura di vetro, per arrivare infine agli stati di alterazione percettiva indotti dal sogno e dall'hashish.
Nell’insieme di questi media Benjamin individua un sistema capace di trasformare storicamente l'esperienza sensibile, e di «allenare» l’individuo moderno agli choc cui lo costringe la modernità.

«Se le impressioni visive dell’uomo non siano determinate solo da costanti naturali, ma anche da variabili storiche: questa è una delle domande più all’avanguardia della ricerca partendo dalla quale ogni centimetro di risposta è difficile da conquistare», scriveva Benjamin nel 1939.
I testi qui raccolti, scrivono oggi Pinotti e Somaini nell’introduzione a Aura e choc, «intendono presentare al lettore i diversi centimetri di risposta conquistati da Benjamin sul terreno di questa domanda che è tuttora, negli studi contemporanei sui media, all’avanguardia della ricerca».

MAURIZIO BETTINI: VERTERE - EINAUDI 2012

MAURIZIO BETTINI
VERTERE
Einaudi, 22/5/2012
collana "Piccola Biblioteca Einaudi NS"

Anche gli antichi traducevano, certo, come facciamo noi: traducevano testi letterari, come hanno fatto i Romani (e molto meno i Greci), traducevano in occasione di rapporti commerciali, politici e cosi via. Questo non significa però che essi pensassero la traduzione allo stesso modo in cui lo facciamo noi. Al contrario si ha l'impressione, largamente confermata dall'analisi di testi e situazioni molteplici, che le categorie messe in gioco da Greci e Romani attorno al tradurre fossero diverse dalle nostre. In particolare, per gli antichi Romani tradurre comportava una metamorfosi, una trasformazione totale del testo di partenza, che nel passaggio mutava identità; per i Greci, invece, la traduzione da una lingua all'altra rientrava in una più vasta sfera di attività, che consisteva nel riarticolare altrimenti un certo messaggio, indipendentemente dalla lingua in cui era formulato in origine e, anzi, a prescindere dal fatto che fosse formulato in una lingua.

ROBERTO SCHENA SP 67: LA STRADA DELLA TRAMONTANA SCURA - PUNCTUM 2012



ROBERTO SCHENA
SP 67: LA STRADA DELLA TRAMONTANA SCURA
a cura di Marco Delogu
testi di Paolo Caredda
Punctum, 2012

SP67: 13 chilometri di strada provinciale da Apparizione, una frazione al confine di Genova, fino a Calcinara, quattro case nell’entroterra.
Da queste parti chiamano Tramontana Scura il vento quando porta la pioggia e i temporali. L’autore ha impiegato tre anni per fare questi 13 chilometri.
E’ più o meno il tempo giusto se si vogliono perlomeno intravedere i misteri di un Posto. Ha parcheggiato la macchina. Non invitato, è sceso fino in fondo al bosco. Credendo di rintracciare i passi di qualcun altro, scrutando le piante, tra le nebbie, di notte.
Tre anni di appostamenti, arrampicamenti, appuntamenti con nativi. Focacce frettolose prima che arrivi la tempesta. Gli appunti di un esploratore che vuole estrarre il sublime dove nessuno penserebbe di trovarlo: un tratto di strada, un maiale selvatico, una notte ghiacciata. Due brevi racconti di Paolo Caredda sono il prologo e l’epilogo.
Una cartina del territorio permette un riferimento geografico a chi vuole ricostruire il viaggio con l’immaginazione. Per chi è condannato a vivere a Genova diventa invece un pretesto per partire alla scoperta dei luoghi nascosti nelle fotografie.

Roberto Schena è nato a Genova nel 1960, vive e lavora a Milano. Ha insegnato educazione visiva e semiologia del design, si è occupato della produzione di videoclip, spot, film a basso budget e lavora per un’agenzia di comunicazione. L’attività fotografica si è sviluppata negli ultimi otto anni. Il suo lavoro si concentra sulla fotografia di paesaggio interpretata attraverso una visione onirica e senza tempo.

Paolo Caredda è nato a Genova. E’ regista di formati ibridi per la televisione, mockumentaries e documentari su vite reali. Su carta stampata ha pubblicato "Giorno di paga in via Ferretto" per l’antologia Gioventù cannibale, "La città uccello" per Paesaggi Italiani e "Altri giorni, altri alberi" per ISBN.

sabato 26 maggio 2012

TRACEY EMIN - TURNER CONTEMPORARY, MARGATE



TRACEY EMIN
Turner Contemporary
The Rendezvous - Margate
26/5/2012 - 23/9/2012

Tracey Emin comes home to Margate with an exhibition of new works at Turner Contemporary

Tracey Emin’s first exhibition in her home town will open at Turner Contemporary on 26 May 2012. She Lay Down Deep Beneath the Sea: Tracey Emin at Turner Contemporary is conceived specially for Margate, where Emin grew up and which has provided inspiration for many of her most famous art works.
The exhibition will explore the themes of love, sex and romanticism in Emin’s oeuvre. It will feature new works, including drawings, monoprints, sculptures, tapestries, embroideries and neons and will be installed throughout Turner Contemporary’s suite of first-floor galleries.
The exhibition’s central themes are continued in a group of sketches and paintings of erotic subjects by Tracey Emin, JMW Turner and Auguste Rodin, whose iconic sculpture The Kiss is on show in the Sunley Gallery at Turner Contemporary. This section of the exhibition considers the artists in terms of their shared fascination with female sexuality and the varying means by which they explore the subject.

Tracey Emin said: "I still can't really believe that I'm showing in Margate. Even in my wildest dreams I could never believe there would be a gallery like Turner Contemporary there. So on one level I'm really chuffed and excited but on another I am as nervous as hell. The brilliant thing about Margate is it's one hour from London on the train so I'm hoping lots of people will come and visit not just my show but the beautiful sunsets and sandy beaches."

Victoria Pomery, Director, Turner Contemporary said: ‘We are thrilled to be working with Tracey on this exhibition of new work, which considers Tracey’s extensive oeuvre in a new light.’

A fully illustrated catalogue is available to accompany the exhibition.

ROBOTICA - CENTRO ESPOSITIVO SLOVENO, VENEZIA



ROBOTICA
a cura di Meta Kordis
A+A Centro Espositivo Sloveno
calle Malipiero 3073 (San Marco) - Venezia
11/5/2012 - 3/6/2012

Precedentemente ospitata presso la Galleria d’Arte di Maribor, capitale europea della cultura 2012, la mostra presenta lavori di artisti che dalla seconda metà degli anni ’90 hanno incluso i robot come tema, concetto o tecnologia nelle loro opere, affidandosi a differenti pratiche e tradizioni artistiche quali i new media, l’arte digitale e cibernetica e le installazioni spaziali.
Questa ricerca legata all’applicazione della tecnologia all’arte contemporanea rappresenta uno degli aspetti più interessanti e all’avanguardia della scena culturale slovena degli ultimi vent’anni e ha reso la nazione un modello per tutta l’Europa. Proprio a Lubiana infatti sono nati laboratori come Ljudmila, dove personaggi del calibro di Vuk Čosić hanno fondato il movimento della Net-art.
Il termine robot deriva dal termine ceco robota, che significa “lavoro pesante” o “lavoro forzato”. L’invenzione del termine è da attribuirsi al pittore ceco Josef Čapek, mentre la sua introduzione e diffusione in letteratura si deve al fratello Karel Čapek, il quale lo utilizzò per la prima volta nel 1920 all’interno del suo dramma teatrale “I robot universali di Rossum”, prefigurante la fine dell’umanità per mano di androidi organici, ribellatisi ai loro stessi creatori dopo che questi, liberi dalla schiavitù dello sforzo fisico, erano sprofondati nell’indolenza e nel vizio. Da queste prime entità umanoidi si è poi passati all’accezione odierna secondo cui il robot è una qualsiasi macchina in grado di svolgere, più o meno indipendentemente, un lavoro al posto dell’uomo.
Basandosi quindi sugli attuali aspetti caratterizzanti i robot, i criteri di selezione delle opere che hanno portato alla nascita della mostra sono stati l’interattività col fruitore, il comportamento autonomo dell’oggetto, la sua entità cibernetica e il controllo a distanza.
La mostra analizza quindi ambiti quali la robotica, l’informatica e il multimedia e si pone come punto di arrivo di un percorso, durato quasi vent’anni, atto a documentare i lavori di numerosi artisti sloveni come Srečo Dragan, Dušan Bučar, Luka Drinovec, Borut Savski, Stefan Doepner, Boštjan Kavčič, e iniziato con il Festival Internazionale di Computer Art di Maribor, curato da Jože Slaček nel 1994.
“Robotica” d’altra parte non si configura come una semplice sintesi di quelli che sono gli ultimi sviluppi dell’arte robotica, ma mira anche a mettere in discussione il concetto stesso di museo e le tradizionali metodologie espositive a esso collegate, sollevando questioni circa quali siano le modalità e le infrastrutture più adeguate alla preservazione e alla manutenzione dell’arte cibernetica e digitale che nel contempo non ne compromettano la natura interattiva. Problemi che acquisiscono rilevanza ancora maggiore se si considera che molti dei primi lavori presentati al Festival di Maribor non sono più funzionanti proprio a causa dell’inadeguatezza delle sedi espositive.
Espongono: Srečo Dragan, Stefan Doepner, Luka Drinovec, Luka Frelih, Sanela Jahić, Zoran Srdić Janežič, Boštjan Kavčič, Nika Oblak & Primož Novak, Borut Savski, Sašo Sedlaček, Maja Smrekar, son:DA, Robertina Šebjanič, Igor Štromajer in Branko Zupan

PAVLE LEVI: CINEMA BY OTHER MEANS - OXFORD UNIVERSITY PRESS 2012


PAVLE LEVI
CINEMA BY OTHER MEANS
Oxford University Press
april 2012

Cinema by Other Means explores avant-garde endeavors to practice the cinema by using the materials and the techniques different from those commonly associated with the cinematographic apparatus. Using examples from both the historical and the post-war avant-garde -- Dada, Surrealism, Letterism, "structural-materialist" film, and more -- Pavle Levi reveals a range of peculiar and imaginative ways in which filmmakers, artists, and writers have pondered and created, performed and transformed, the "movies" with or without directly grounding their work in the materials of film. The study considers artists and theorists from all over Europe --- France, Italy, Soviet Union, Germany, Hungary -- but it particularly foregrounds the context of the Yugoslav avant-garde. Cinema by Other Means offers the English-language reader a thorough explication of an assortment of distinctly Yugoslav artistic phenomena, such as the Zenithist cine-writings of the 1920s, the proto-structural Antifilm movement of the early 1960s, and the "ortho-dialectical" film-poetry of the 1970s.

WILLIAM E.B. VERRONE: THE AVANT-GARDE FEATURE FILM - MCFARLAND 2011


WILLIAM E.B. VERRONE
THE AVANT-GARDE FEATURE FILM
A Critical History
McFarland

october 2011
Here is a critical and historical overview of unconventional and aesthetically challenging films, all of feature length. The author focuses on the particular forms of contemporary avant-garde films, which often rely on characteristics associated with historical films of the same genre. Included are works by such visionary filmmakers as David Lynch, Luis Bunuel, Jean Cocteau, Jean-Luc Godard, Guy Maddin and Derek Jarman. The first of the two appendices contains a filmography of key avant-garde feature films, from Haxan: Witchcraft Through the Ages (1922) to Maximum Shame (2010). The second appendix offers a brief list of directors who have made significant contributions to films that take alternative approaches to cinematic practice, establishing new grounds for analysis and evaluation.

CARTABIANCA ROMA - MUSEO DI VILLA CROCE, GENOVA



CARTABIANCA ROMA
cura di Nero, Sguardo Contemporaneo e Carla Subrizi
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
Via Jacopo Ruffini 3 - Genova
dal 26 maggio al 26 giugno 2012

Cartabianca è un progetto a cura di a cura di Silvia Cini con la collaborazione di Francesca Serrati

Roma continua a rinnovarsi, è vitale, guarda e riguarda il passato ma senza nostalgia, ama le contraddizioni, è leggera e impegnata, è eterogenea, multiforme, plurale; sa fare a meno degli stereotipi, è insofferente alle mode e cerca ai margini, nei fuori-centro, alla periferia delle strade principali: il quarto appuntamento di cartabianca prova a restituire tutto questo.
La mostra è pensata come un percorso da camminare per incontrare non tanto opere quanto frammenti di lavori, documentazioni o semplici citazioni: appunti di un quaderno in progress, per restituire una visione più progettuale e potenzialmente espandibile, attraverso altri e nuovi percorsi.
Gli artisti presentati infatti non sono che una prima e trasversale selezione di quanto Roma – come luogo di formazione o provvisorio punto di transito – è in questo momento riguardo a ricerche artistiche e pratiche innovative.

Cartabianca è un progetto d’arte, temporanea e compartecipata, che si propone di interagire con gli spazi collaterali e i servizi offerti dal Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce per innescare dinamiche relazionali, che vadano a coinvolgere la città che lo ospita, intessendo relazioni con le principali città italiane, attraverso un ciclo di mostre volte a descrivere l’emergente e vitale nell’ambito dell’arte contemporanea.
Ad ogni città invitata, è stata dedicata una mostra, della durata di un mese in cui i curatori hanno proposto una loro visione di ciò che li circonda, intesa come curatela di opere o di progetti di artisti, in modo da fornire un’immagine personale e al contempo globale, quasi un’istantanea della città in cui si trovano ad operare.
Ad ogni tappa sono stati legati gli incontri dacosanascecosa: conferenze dedicate alla città focalizzata e al percorso dei suoi artisti negli ultimi anni, tavoli di lavoro tra artisti curatori, critici ed operatori del contemporaneo per la progettazione di workshop, presentazioni di opere in site specific, e presentazioni delle residenze d’artista già realizzate o in fase di svolgimento. Questi incontri hanno ospitato interventi anche indiretti e inattesi di critici e artisti, oltre a quelli esposti, allo scopo di divulgarne l’opera, ma soprattutto di innescare una discussione tra i vari ambiti delle arti, portando confronto, scambio e la possibilità di avvicinare e connettere le università e accademie. La Biblioteca d’Arte Contemporanea Villa Croce in collaborazione con la sezione didattica, hanno ospitato e sviluppato parte dei progetti attivando laboratori didattici e sottolineando, attraverso questo lavoro, il ruolo del museo come luogo che accoglie, stimola e legittima la ricerca in ambito culturale, punto di formazione e riferimento.