sabato 30 giugno 2012

OLAF NICOLAI: IL BALCONE DI FREDERICO - APPENZELL BIENNALE



OLAF NICOLAI
IL BALCONE DI FREDERICO
Appenzell Biennale
Ebenalp Cable Car Station - Wasserauen
30/6/2012- 30/7/2012

The 8th Edition of the Appenzell Biennale will open Saturday 30 June at an altitude of 1,644 meters on the Ebenalp Mountain in Wasserauen. For this new edition, a special project by Olaf Nicolai will be presented: a 6×6 meters monumental cube made of 479 Edelweiss.
The edelweiss is a rare flower; it is a synonym of bravery and valiance, of nature intact, of pureness, of innocence and eternal love. For the alpinists, it has always been a symbol of their passion for the mountains.Last year, Olaf Nicolai, who frequently uses minimal shifts or changes in his works to challenge our perception of reality, had 479 Leontopodium alpinum seedlings planted in a 6 x 6-meter-large square area on the Ebenalp. Now, at the beginning of July, they are starting to blossom and the white square will be visible until autumn. Thanks to Nicolai, the otherwise rare wildflower will now appear en masse and in cultivated formation: a vision of passion made suddenly manifold.
Olaf Nicolai (b. 1962 in Halle / Saale, Germany) lives in Berlin. His works may currently be seen at Kunsthalle Münster D (until 30 September 2012); at Magazin 4, Bregenz, Austria (until 26 August 2012); and at Galleria dell’Accademia, Florence, Italy (until 4 November 2012). He has had solo exhibitions at the Pinakothek der Moderne, Munich, Germany (2011); kestnergesellschaft Hannover (2010); and Kunstmuseum Thurgau, Kartause Ittingen, Switzerland (2009). He participated in Manifesta 7, Rovereto, Italy; the Venice Biennial, Italy (2001, 2005); and Dokumenta X, Kassel, Germany (1997).
The Appenzell Biennale was founded ten years ago by the artists Emanuel Geisser and Peter Stoffel and curator Christiane Rekade. It has since continued to be involved with various contemporary art projects. Its aim is to explore the tension between the Appenzell landscape and tradition and the large-scale contemporary art event.  

MARINA ABRAMOVIC: CORPO = ENERGIA / BODY = ENERGY - LA MARRANA, MONTEMARCELLO



MARINA ABRAMOVIC
CORPO = ENERGIA / BODY = ENERGY
Parco Arte Ambientale de La Marrana
strada della Marrana (Ameglia) - Montemarcello
30 giugno - 29 luglio 2012

La Marrana arteambientale di Grazia e Gianni Bolongaro a Montemarcello, Ameglia (SP), nell’estate 2012 presenta Marina Abramović, di cui verranno mostrati importanti e significativi video nei giorni di sabato e domenica, dal 1 luglio al 29 luglio, dalle 17.00 alle 21.00.
Per una sola sera, sabato 30 giugno alle ore 21, sarà proposto ­ con ingresso libero ­nella sua versione integrale, introdotto dalla storica dell’arte Jacqueline Ceresoli, il film documentario MARINA ABRAMOVIĆ-THE ARTIST IS PRESENT di 106 minuti, che ­ in una versione ridotta di 17 minuti, utile comunque per comprendere il linguaggio dell’artista. Sarà poi proiettato, assieme a due video relativi ad importanti performance, in tutte le successive aperture
Nella serata inaugurale Jacqueline Ceresoli, storica dell’arte, introdurrà il filmato, che indaga l’azione e la poetica di Abramović seguendo la mostra tenuta nel 2010 al MoMA – Museum of Modern Art di New York nel 2010, illustrandone la genesi e il divenire, ma soprattutto soffermandosi sulla lunga performance che ha accompagnalo per 3 mesi la rassegna.
Per tutto luglio la mostra MARINA ABRAMOVIĆ CORPO=ENERGIA/BODY=ENERGY si svilupperà a partire dalla sintesi del filmato The artist is present (durata 17’) per articolarsi su due video ­ Dozing Consciousness, 1997 (durata 7’23″) e Vanitas, 2010 (durata 6’10″) ­ che mostrano due momenti fra loro distanti nel tempo, ma estremamente significativi, della ricerca dell’artista. 

ELIO GRAZIOLI: LA COLLEZIONE COME FORMA D'ARTE - JOHAN & LEVI 2012

ELIO GRAZIOLI
LA COLLEZIONE COME FORMA D'ARTE
Johan & Levi, 24/5/2012
collana "Saggistica d'arte"

Il saggio di Elio Grazioli vuole indagare il collezionismo non tanto quanto fenomeno sostenuto da ragioni economiche quanto espressione di persone che inseguono un'idea, una passione affinché la collezione possa realizzare o esprimere altro. Sono queste collezioni molto vicine a poter essere considerate delle vere e proprie opere d'arte, l'opera propria del collezionista. A partire dalle Wunderkammern, luoghi in cui venivano raccolti tutti gli oggetti "delle meraviglie", fino agli artisti contemporanei che fanno della collezione il loro linguaggio espressivo o che collezionano oggetti che diventeranno parte o documentazione delle loro opere, Elio Grazioli porta il lettore all'interno di un mondo che rimane per lo più gelosamente custodito e che solo in rare occasioni viene condiviso, proprio quelle in cui la collezione diventa opera d'arte. 

MARZIA MARCHI, PAOLA PENZO, CARLA TONINI: CITTÀ EUROPEE DEL XXI SECOLO - CLUEB 2012

MARZIA MARCHI, PAOLA PENZO, CARLA TONINI
CITTÀ EUROPEE DEL XXI SECOLO
Luoghi e tempi del mutamento
Clueb, 9/6/2012

Questo volume esamina le trasformazioni avvenute negli ultimi decenni in alcune città dell'Europa occidentale e orientale, anche molto diverse fra loro, permettendo cosi un ampio sguardo sui processi in corso. Si tratta di metropoli come Londra, Berlino, Budapest, Barcellona, che con una popolazione plurimilionaria nella regione urbanizzata, costituiscono capitali di stati o di regioni autonome. Ci sono città di media dimensione, capitali di piccoli (nuovi) stati, come la slovacca Bratislava e l'estone Tallinn, oppure capoluoghi di regioni storiche, come Genova e Bologna. Infine si considerano città di fondazione, che fanno parte di territori urbani piu ampi, come le polacche Zyrardow, non lontano da Varsavia, Gdynia, sul Mar Baltico, e Nowe Tychy, citta satellite di Katowice, nella regione carbonifera della Slesia.  

GIACOMO DURAZZO 1717-1794 - TEATRO DEL FALCONE, GENOVA



GIACOMO DURAZZO
1717-1794. Teatro musicale e collezionismo tra Genova, Parigi, Vienna e Venezia
a cura di Luca Leoncini
Palazzo Reale - Teatro del Falcone
via Balbi 10 - Genova
dal 29/6/2012 al 7/10/2012

La mostra, allestita dal 30 giugno (inaugurazione 29 giugno) al 7 ottobre 2012 nel Teatro del Falcone, spazio espositivo del Museo di Palazzo Reale, intende ricostruire la figura straordinaria di Giacomo Durazzo, un genovese cosmopolita vissuto al culmine dello splendore della Repubblica Oligarchica. Nato nel palazzo che oggi chiamiamo Reale, membro di una delle famiglie più ricche e influenti della Genova d’antico regime, fu avviato dapprima alla carriera ecclesiastica, e solo nel 1744 fu ascritto al libro della nobiltà, entrando nei ranghi dell’amministrazione repubblicana e ricoprendo subito importanti incarichi diplomatici. Grazie a una raffinata educazione e a una personalità fuori del comune, diventò giovanissimo il direttore dei teatri viennesi, influenzando per un decennio la vita musicale e culturale della capitale dell’Impero e compiendo una rivoluzione storica nell’ambito del teatro musicale europeo. A lui si deve la valorizzazione di musicisti come Christoph Willibald Gluck, attore della riforma del melodramma, che in quegli anni si andava affrancando da una totale dipendenza dai modelli dell’opera italiana.
Fu quindi per vent’anni ambasciatore cesareo a Venezia, continuando a occuparsi sia di musica che di arti figurative. Costruì, e ordinò con criteri moderni ed illuminati, una celeberrima collezione di stampe del duca Alberto di Sassonia-Teschen, poi confluita in uno dei più grandi musei di grafica del mondo, l’Albertina di Vienna.
Protettore di geni musicali, amico fraterno del cancelliere austriaco Kaunitz e dei maggiori studiosi ed eruditi dell’epoca, bibliofilo e fine connoisseur, ebbe anche una sua raccolta di disegni, stampe e quadri che comprendeva capolavori come la Discesa al Limbo di Mantegna. Si deve a lui la prima serie di stampe degli affreschi nella Cappella Ovetari di Padova, testimonianza di un’attenzione precoce per il grande pittore veneto. Protesse e indirizzò il pittore Giovanni David, coinvolto spesso nelle sue imprese.
A Venezia entrò subito a contatto con la nobiltà locale, assimilandone usi e costumi, dividendo la sua vita tra lo splendido palazzo Loredan sul Canal Grande, sede dell’ambasciatore austriaco - dove trasferì una rilevante collezione d’arte -, ed una grande villa a Mestre, distrutta alla fine dell’Ottocento in seguito ad un nuovo disegno urbanistico della terraferma veneziana. La sua tomba, posta in una posizione privilegiata all’interno della chiesa di San Moisè a Venezia, immediatamente dinnanzi al presbiterio, celebra le gesta di una figura di grande nobiltà d’animo e di censo, ne sottolinea la caratura internazionale e ricorda l’impegno nella promozione delle belle arti.
Genova e l’antica residenza dei suoi avi, nota oggi come Palazzo Reale, storica sede della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria e del Museo di Palazzo Reale, nonché di altri istituti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, vuole ricordare la personalità eccezionale di Giacomo Durazzo, ricostruendone il percorso biografico ed esponendo alcune opere d’arte da lui collezionate.

Percorso espositivo:
1. La famiglia. I Durazzo, Genova e l’Ancien Regime. Le radici di Giacomo Durazzo
2. Il Falcone, primo teatro di Genova. Da locanda a sala per gli spettacoli dell’aristocrazia
3. Diplomazia, viaggi, incontri fortunati. I primi anni di Giacomo Durazzo in politica
4. Il decennio aureo del conte Durazzo. Vienna: da ambasciatore a direttore degli spettacoli di corte
5. Giacomo Durazzo e il teatro francese a Vienna. La riforma durazziana
6. L’odiosa cabala: il conte lascia Vienna. Giacomo Durazzo a Venezia
7. La villa di Mestre. Esilio dorato nelle delizie della terraferma veneta
8. Giacomo Durazzo protettore delle arti. Il conte e Giovanni David
9. Connoisseurship e arti figurative. Le imprese del conte Durazzo dopo il teatro. La collezione di stampe per Alberto di Sassonia
10. Storia di una passione: collezionare stampe per farne una Storia della Pittura
11. L’Inventario del 1826-1827. Un documento inedito fotografa la consistenza dei beni del conte Durazzo
12. Non solo stampe. La collezione di quadri di Giacomo Durazzo
13. Il ritorno a Genova degli ultimi anni: Giacomo vecchio
14. Epilogo. Giacomo Durazzo: le linee del sé 

venerdì 29 giugno 2012

RIRKRIT TIRAVANJA: ON AIR - CENTRE POMPIDOU, PARIS



RIRKRIT TIRAVANJA
ON AIR
Centre Pompidou - Paris
21 juin-02 sept. 2012 

«On Air» est la nouvelle programmation estivale du Studio 13/16. Dans cet espace unique en son genre, spécialement dédié aux adolescents, l'artiste Rirkrit Tiravanija invite à «jouer» de plusieurs territoires de création: la musique, le live, la performance. Véritable studio de répétition et d'enregistrement, équipé de deux guitares électriques, d'une basse, de quatre micros et d'une batterie, cette installation, transparente mais isolée phoniquement, permet à des musiciens en herbe ou confirmés d'y enregistrer gratuitement, sur réservation, pendant 60 minutes, aux heures d'ouverture du Studio 13/16. 
Muette dans sa transparence, cette «boîte à musique» dans laquelle groupes et interprètes sont invités à se produire et à s'enregistrer, ne laisse pas passer le son. Dans ce silence apparent elle crée une dissonance entre ce que le visiteur voit — les instruments, les gestes des musiciens— et l'absence de musique. Le contraste ainsi provoqué entre l'intérieur et l'extérieur, entre l'inaudible et le visible, crée une situation où de nouvelles médiations émergent de la relation entre le visiteur et l'œuvre d'art. C'est dans cet écart que l'artiste aime à provoquer des sociabilités alternatives, des situations d'expérimentation partagées, immédiates, sans l'intervention d'une présence extérieure. 
«On Air» permet d'aborder l'influence mutuelle des arts plastiques et de la création sonore et de comprendre comment leur rencontre donne naissance à un nouveau territoire de confrontation. 
Avec cette proposition, le Studio 13/16 opère un glissement vers de nouveaux modes de médiation où convergent création et participation, réflexion et production des adolescents. L'œuvre ne vit que lorsqu'elle interagit ou se laisse traverser par le public. 

D'origine thaïlandaise, Rirkrit Tiravanija est né à Buenos Aires en 1961. Son travail se caractérise par la place qu'il accorde au public dans la réalisation de ses œuvres. Le plus souvent, ses installations accentuent leur propre fonction sociale grâce à la présence des spectateurs/acteurs. L'œuvre de cet artiste se caractérise par des situations qui mettent en exergue le rapport des visiteurs entre eux: «la situation ne traite pas du regard porté sur l'œuvre. Il s'agit d'être dans un espace, de participer à une activité». 

DAVID LACHAPELLE - LU.C.C.A. CENTER - LUCCA



DAVID LACHAPELLE 
a cura di Maurizio Vanni
Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art
via della Fratta 36 - Lucca
dal 28/6/2012 al 4/11/2012 

«Posso fare qualunque cosa. Se lo vedo nella mia mente riesco a ricrearlo. Amo il fatto che sia teatrale e collaborativo». 
- David LaChapelle 

«L’uomo ricorre alla vanità per mascherare le proprie insicurezze, per combattere un’inadeguatezza esistenziale, per farsi notare e per farsi accettare dalla società». 
- Maurizio Vanni 

Una grande mostra dedicata a uno degli artisti della fotografia più importanti a livello internazionale, David LaChapelle, divenuto leggendario per la sua stravaganza e la sua originalità, sarà esposta al Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art dal 29 giugno al 4 novembre 2012. 
La mostra, a cura di Maurizio Vanni, è prodotta da Arthemisia Group in collaborazione con Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art. Il nuovo museo, all'interno dello storico Palazzo Boccella nel cuore della città di Lucca, si è da tre anni affacciato al mondo dell’arte moderna e contemporanea in modo intraprendente e sensibile, lungimirante nella presentazione dei propri eventi, rivelatrici di conoscenze e memorie come le mostre Jean Dubuffet e l’Italia, State of Mind: Minimal Art/Panza Collection e Carte rivelatrici. I tesori nascosti della Collezione Peggy Guggenheim da poco conclusasi con grande successo. 
La sua attenzione è rivolta anche alle nuove forme di comunicazione artistica, in particolare alla fotografia cui dedica ogni anno un evento. Fino ad ora sono state presentate al pubblico le mostre su Man Ray, Steve McCurry e Michel Comte. Quest’estate il Lu.C.C.A. presenterà la prima tappa del tour italiano dedicato a David LaChapelle, che sarà l’evento clou della stagione. Riuniti 53 scatti del geniale fotografo, che racconteranno il percorso antologico della sua produzione attraverso 10 serie quali: Star System, Deluge (Awakened), Earth Laughs in Flowers, After the Pop, Destruction and Disaster, Excess, Plastic People, Dream evokes Surrealism, Art References e Negative Currency. 

L’artista
Nato a Fairfield l’11 marzo 1963, è attivo nei campi della moda e della fotografia. Noto per il suo surrealismo, è considerato uno dei fotografi più intuitivi di tutti i tempi. La sua carriera da professionista è iniziata negli anni Ottanta collaborando con alcune gallerie: la sua prima mostra si è tenuta nel 1984 alla Galleria 303 di New York. Poco dopo, David LaChapelle ha accettato di collaborare con la rivista “Interview”, magazine fondato da Andy Warhol. 
Così la prima opportunità di David LaChapelle è arrivata da un grande artista e scopritore di talenti che gli ha aperto la porta principale di un nuovo universo tutto da scoprire: l’editoria. Nel corso della sua professione, LaChapelle ha scattato cover e servizi speciali per riviste come “Vanity Fair”, “GQ”, “Vogue”, “The Face”, “Arena Homme”, “Rolling Stones” e collaborato con aziende quali Tommy Hilfiger, Condé Nast, Nokia, L’Oréal, H&M, Burger King e Diesel. 
LaChapelle non è il fotografo dello scatto rubato, non è l’artista che vive con la macchina fotografica al collo in attesa di un evento straordinario da immortalare, non è il reporter che rischia la vita per regalare l’attimo prima di qualcosa che cambierà il mondo. È semplicemente un sismografo del proprio tempo che rende evidenti concetti e considerazioni attraverso scatti concepiti come fossero grandi dipinti. 
In molti suoi lavori l’approccio è più da pittore tradizionale che da fotografo. Egli non aspetta il momento speciale, ma lo inventa o lo pianifica, magari bloccando l’intuizione con il disegno o dipingendone una bozza con gli acquarelli. Così crea un suo personalissimo set con gli scenari che ha ben chiari in mente cercando di realizzare qualcosa di esclusivo, ovvero fotografare ciò che razionalmente non sarebbe considerato fotografabile. 

La mostra
La mostra è suddivisa in dieci sezioni tematiche e propone le serie fotografiche di LaChapelle la cui scelta degli argomenti rispecchia il suo desiderio di raccontare, creando un palinsesto dove sistemare le figure proprio come un pittore che prepara, con dovizia e attenzione maniacale, una scena dal vivo prima di disegnarla. La prima serie è Star System, che esplica come l’immagine pubblica di un personaggio famoso non solo si sovrapponga alla sua vera identità, ma ne condizioni pesantemente il rapporto con le persone e con le cose in ogni momento della sua vita. 
LaChapelle, nella serie dedicata alle persone note provenienti dal mondo della musica, della moda e del cinema, accende i riflettori su vizi, passioni e fobie di artisti che non possono più permettersi di avere una vita privata. Pose ammiccanti ed esibizioni giocose mescolano sensualità, ironia e gusto kitsch. Come in Elton John: Egg on His face dove la star, in un’ambientazione particolarmente umile, ha le uova della sua colazione sugli occhi, mentre mantiene una postura solenne; mentre in Lady Gaga: Metropolis, la cantante sembra essere la protagonista di uno spot pubblicitario per un concerto su un altro pianeta e invece nell’opera dedicata a Paris Hilton, la sua esplosiva bellezza esaltata da luci teatrali e dai fumi tipici di un concerto rock ricorda che tutto ha un prezzo. La seconda serie intitolata Deluge è un monito a una società diventata vittima delle sue stesse regole, imprigionata dalle consuetudini non scritte che devono essere rispettate da coloro che cercano di ritagliarsi un effimero posto al sole. Da questo concetto della realtà, scaturisce un lavoro come Cathedral, dove un gruppo di persone di età differenti pregano dentro una chiesa immersa nell’acqua. 
Una vera e propria “neo-Apocalisse”, dove l’acqua – simbolo di sorgente di vita e centro di rigenerazione – mina la solennità dei luoghi sacri dello sfarzo e purifica la società dai vizi. Questa serie nasce dallo studio di LaChapelle della Cappella Sistina, che porterà l’artista ad accentuare il suo approccio pop e a rivedere, in chiave contemporanea – oltre ad alcune scene del capolavoro di Michelangelo – alcuni momenti fondamentali dell’arte del passato. 
Ai fiori è dedicata la terza serie Earth laughs in Flowers, un interessante percorso che arriva dalla conoscenza dei grandi maestri del passato. Il titolo è tratto dal poema Hamatreya di Ralph Waldo Emerson, in cui i fiori corrispondono alla risata della terra contro l’arroganza, l’ignoranza e la prepotenza degli esseri umani. Ne conseguono lavori che si trasformano in racconti che approfondiscono gli aspetti fugaci e le problematiche sociali come le opere The Lovers e America, che esprimono qualcosa che va ben oltre la semplice iconografia. Prendendo come riferimento le composizioni floreali seicentesche, l’artista contamina e completa all’insegna del contemporaneo. 
Nella quarta serie After the Pop e nella quinta serie Destruction and Disaster i riferimenti iconografici con Warhol sono espliciti, ma l’esito del lavoro è più ironico e cerebrale. In After the Pop il mondo bersagliato da segni e simboli diviene codice per dialogare con la gente e l’artista si concentra sull’inserimento provocatorio dell’oggetto, artefatto e proposto su scala monumentale, in contesti improbabili. Mentre in Destruction and Disaster l’immagine è strutturata con la messa in scena di visioni rovinose e scenari di distruzione, con modelle che in modo surreale fuoriescono – illese e tristemente bellissime – da scenari completamente distrutti, incendi, crolli e calamità naturali. La sesta serie Excess propone ossessioni ed eccessi sessuali ad appannaggio di persone che, almeno in apparenza, sono assolutamente normali. LaChapelle mette in scena fantasie erotiche, voyeurismi, esibizionismi, feticismo, attitudini sadiche, masochiste e bondage evidenziando come questo tipo di eccessi siano legati al desiderio di auto-affermazione di ogni persona, unito a un piacere cerebrale non necessario. 
Plastic People è la settima serie di foto che riprende la questione dello stereotipo fisico, di un tipo di bellezza che va raggiunta ad ogni costo perché è la società che lo richiede. Ne scaturiscono da una parte corpi gonfiati dal body building, dall’altra l’utilizzo sistematico della chirurgia plastica per ritocchi invasivi – spesso ciò che viene considerato bello si trasforma in ridicolo e grottesco – che degenera in una sindrome ossessiva. Le muse ideali di LaChapelle diventeranno Pamela Anderson, Courtney Love e Amanda Lepore. Corpi dai tratti ampiamente deformati, violati, quasi disumani. 
L’ottava serie Dream evokes Surrealism, oltre ad essere legata all’universo della cosciente illusione, ha molti riferimenti e citazioni letterarie: ad esempio nell’opera Kirsten Dunst: Bell Jar la figura in posa dentro una campana di vetro è l’attrice Kirsten Dunst, protagonista del film Il giardino delle vergini suicide, diretto nel 1999 da Sofia Coppola e tratto dal romanzo di Jeffrey Eugenides. 
La nona serie Art References presenta Birth of Venus, ispirata alla Nascita di Venere del Botticelli. L’opera è proposta da LaChapelle come un regale simbolo d’amore, un sentimento puro, lontano dal materialismo, con un’ironica conchiglia all’altezza del pube invece dei lunghi capelli biondi utilizzati dall’artista fiorentino. Anche lo scatto intitolato Angelina Jolie: Lusty Spring si ispira a un’opera antica: l’Estasi di Santa Teresa di Gian Lorenzo Bernini, tra le opere più importanti del Barocco. La foto raffigura il momento della transverberazione, attimo in cui Dio prende il cuore della Santa. 
Nell’opera dell’artista italiano, il volto è dolcissimo, rivolto al cielo, gli occhi e le labbra socchiusi. Nello scatto di LaChapelle, il corpo raccolto e teso è celato mentre il viso rivolto verso l’alto con la bocca aperta e gli occhi chiusi rivela uno stato di grazia, un’estasi che coinvolge, anche in questo caso, più l’anima e il cuore che il corpo. 
Nell’ultimo ciclo di fotografie esposte in mostra dal titolo Negative Currency, l’artista utilizza di nuovo una tecnica già sperimentata agli inizi degli anni Novanta: un proiettore all’interno della camera oscura e alcune banconote in dollari al posto del negativo. Ne risulta una stampa fucsia che rivela, in contemporanea, entrambi i lati della banconota come si può vedere nella fotografia Negative Currency: One Hundred Dollar Bill Used as Negative 1990-2008. 
Nei suoi lavori recenti, utilizzando banconote americane e cinesi come negativo virtuale, fa riferimento diretto al collasso mondiale, che dal 2008 ha piegato le attività economiche del mondo, basato sui falsi capitali e sulle comodità apparenti. Di nuovo una lucida citazione di Andy Warhol, ma soprattutto la volontà feroce di percepire le cose oltre la loro apparenza. 
La mostra spiega in chiave di racconto il percorso dell’opera di LaChapelle, che da prima dello scatto, si trasforma in un regista che comunica ai corpi e alle anime da immortalare il pensiero del suo lavoro. Il suo operare è impegnativo e faticoso, ma emotivamente coinvolgente sia per se stesso che per i suoi modelli. Per tutti la vanità è una forma di auto-devozione dissociata dalla realtà e dai contesti quotidiani. L’ironia dei suoi scatti scaturisce dall’imprevedibilità di una composizione che, spinta all’eccesso, esalta il vizio della vanità, intesa come vanitas, ovvero ammonimento all'effimera condizione dell'esistenza, quindi non fine a se stessa ma che perpetua l’operato umano nello scorrere dei secoli. 

ELI PARISER: IL FILTRO - IL SAGGIATORE 2012

ELI PARISER
IL FILTRO
www.thefilterbubble.com
Il Saggiatore, 14/6/2012
collana "La Cultura" 

I motori di ricerca e i social network ci conoscono sempre meglio. Grazie alle tracce che lasciamo in rete, sanno cosa ci piace. Dal 2007 la mia ricerca su Google dà risultati diversi dai tuoi. Selezionano i risultati, scegliendo sulla base del profilo cha hanno di noi. Ma in questo modo la nostra visione del mondo risulta distorta. Eli Pariser ci spiega perché stiamo correndo il rischio di rimanere intrappolati in una «gabbia di filtri». Questa gabbia ostacola l'accesso a informazioni che stimolano e ampliano la nostra visione del mondo. Mette in pericolo sia noi stessi che la democrazia. 

SILVANO FACIONI, SIMONE REGAZZONI, FRANCESCO VITALE: DERRIDARIO - IL MELANGOLO 2012

SILVANO FACIONI, SIMONE REGAZZONI, FRANCESCO VITALE
DERRIDARIO
Dizionario della decostruzione
Il Melangolo, 28/6/2012
collana "Opuscula"

Il primo dizionario completo dell’intera opera di Derrida suddiviso in venti voci, ciascuna dedicata a un tema chiave della decostruzione: da “decostruzione” a “democrazia”, da “archiscrittura” a “autoimmunità”, da “messianismo a dono”, “da letteratura a evento”. Un volume prezioso scritto da tre dei massimi studiosi di Derrida a livello internazionale, utile sia per chi voglia avvicinarsi al grande filosofo francese, sia per lo studioso che troverà nelle voci e nei rimandi a volumi derridiani una preziosa mappa per orientarsi nel corpus della decostruzione.

IL SEGNO IRRAGGIUNGIBILE: MARTINO OBERTO - BOOKS IN, GENOVA 29/6/2012

Adriano Accattino, Lorena Giuranna, Raffaele Perrotta
IL SEGNO IRRAGGIUNGIBILE
MARTINO OBERTO OM
presentazione del volume edito da Mimesis
Books in
vico del Fieno 40R - Genova
venerdì 29 giugno 2012, ore 18,00

Venerdì 29 giugno 2012 ore 18 presso la libreria Books in vico del Fieno 40 r., ad un anno dalla scomparsa di Martino Oberto, viene presentato il volume IL SEGNO IRRAGGIUNGIBILE Martino Oberto (OM) a cura di Lorena Giuranna e Adriano Accattino edito da Mimesis.

Sono presenti con una testimonianza critica:
- Lorena Giuranna critica e storica dell'arte - Direttrice del Museo della Carale di Ivrea
- Raffaele Perrotta docente di Metodo e Critica dello Spettacolo – Università di Genova
- Sandro Ricaldone critico d'arte e storico delle avanguardie

giovedì 28 giugno 2012

MARIO SCHIFANO: NOPOP ART! - GALLERIA COMUNALE D'ARTE CONTEMPORANEA, AREZZO



MARIO SCHIFANO
NOPOP ART!
a cura di Fabio Migliorati
Galleria Comunale d'Arte Contemporanea
piazza San Francesco, 4 - Arezzo
dal 28/6/2012 al 5/8/2012 

L’Assessorato alla Cultura del Comune di Arezzo propone il terzo appuntamento del 2012 negli spazi della Galleria Comunale d'Arte Contemporanea della città: nopop-art! esposizione personale dell'opera di Mario Schifano - dal 29 giugno al 5 agosto, con inaugurazione giovedì 28, ore 18.30. A pochi giorni dalla chiusura di Lucio Fontana - Hic et Nunc, ecco il lavoro di uno dei più discussi e apprezzati artisti italiani, per la prima volta ad Arezzo in un'antologica che ne celebra la figura con importanti opere, tutte di rilevanti dimensioni, in cui è possibile "entrare" e smarrirsi. Quarant'anni di un'originale ideazione e produzione artistica nata tra lo stupore e l'incomprensione dei dotti e degli accademici, e adottata poi a simbolo di nuove aperture culturali… Un americano a Roma? forse, ma soprattutto un artista che dipinge a occhi aperti sul presente e, proprio per questo, avversato e deriso dagli incolti cultori del canone e delle forme armoniose. Il primo a portare sulla tela romana gli schermi televisivi, i giocattoli d'infanzia, le réclames della nuova epoca - quella del benessere irrispettoso e del consumo oltre il bisogno. E tali risultati sono specchio della società che cambia, che risuona nel tempo di un'umanità ormai liquida, travolgente e rumorosa. Mario Schifano pone e muove il pennello sulla superficie pittorica: in velocità e in poco tempo; sì da cogliere la misura creativa nell'istante di un momento che già cambia, e consuma l'immagine pubblicitaria o televisiva. Visitando l'esposizione aretina si avrà occasione di percorrere la vicenda artistica di un pittore vocato alla trasgressione, anche esistenziale oltre che artistica, e artefice di un gusto post-americano o meglio americano "di ritorno". 

"L'arte del secondo dopoguerra abbandona l'Europa - ricorda Pasquale Giuseppe Macrì (Assessore alla Cultura del Comune di Arezzo) - per farvi ritorno con artisti come Mario Schifano; svincolata dalla contaminazione dei retaggi culturali asfittici, e arricchita di un'esperienza più libera, positivamente barbara, e degli slanci dei pittori yankee≫. Mario Schifano è la personalità artistica più controversa della seconda metà del Novecento italiano; creativo, geniale, sempre autentico, maledetto, ha saputo coniugare - senza mai volerlo - opera e vita, grazie a un'esistenza esperita fino in fondo, tanto distratta quanto istantanea. Il suo lavoro, compiuto nel proprio farsi attimo descrittivo, ha in questo senso ricalcato il suo essere: simbolo di quello schermo nel quale l'artista sapeva annullare eventi e perfino oggetti. La fluidità impersonale della socialità contemporanea diventa criterio della sua visione artistica; è clima, stile, motivo che si fa flusso di immagini prodotte dalla civiltà tecnologica con l'idea della televisione sfacciata e insinuante: strumento analitico e sintetico insieme, che sfugge al controllo e strumentalizza chi l'ha creato - come la vita insidiata da un progresso che, pasolinianamente, non può dirsi ancora evoluzione. Il processo espressivo che interessa l'autore è quella costante di dati eidetici che costituisce - già dagli anni Cinquanta - la comunicazione quotidiana occidentalizzata, e che si struttura, secondo gesto tecnologico partecipato, come vera e unica realtà totalizzante di un'epoca. MARIO SCHIFANO. nopop-art! vuol dire viaggio nel pop, intorno al senso del termine; quello che l'artista non nascondeva di discutere e perfino di rifiutare. Significa il suo superamento; e anche se - per esempio - la matrice dei Monocromi è la carta da pacco, simbolo merceologico, così come quella delle Esso e delle Coca-Cola è la logica pubblicitaria (fonte primaria e diretta del pop), il suo lavoro è tanto occidentale, tanto figlio dell'arte italiana, che non riuscirà mai nell'abbandono dell'intimità romantica tradizionale: del gesto umano che non spersonalizza abbastanza, di quell'atteggiamento grafico soggettivante che, malgrado l'uso esplicito dell'immagine in sé, non può non contaminare il proprio linguaggio espressivo". 

Mario Schifano. nopop-art! è voluta e realizzata dall'Assessorato Cultura e Spettacolo del Comune di Arezzo, con la collaborazione di Telemarket e il sostegno di IPERCOOP, di SUGAR Clothing Accessories Ideas, di ORCHIDEA Preziosi. Circa cinquanta le opere, dal 1958 al 1998: dal Muro informale alla Musa ausiliaria - tutte pubblicate in sei volumi dello Studio Metodologico per la Catalogazione Informatica dei dati relativi all'opera del Maestro, eseguita dall'Università degli Studi di Genova (DISAM), per Fondazione M.S. MultiStudio, di Roma. MARIO SCHIFANO. nopop-art! sarà inaugurata alla presenza del Sindaco di Arezzo, Avv. Giuseppe Fanfani; dell'Assessore alla Cultura e allo Spettacolo, Prof. Pasquale Giuseppe Macrì; di una delegazione Telemarket; di Fabio Migliorati, critico d'arte e Direttore per le Attività Espositive di Arezzo. 

DAVID MALJKOVIC: A LONG DAY FOR THE FORM - SPRUTH MAGERS, BERLIN



DAVID MALJKOVIC
A LONG DAY FOR THE FORM
Sprüth Magers 
Oranienburger Strasse 18 - Berlin
28/6/2012 - 27/8/2012 

Sprüth Magers Berlin is delighted to present an exhibition by Croatian artist David Maljković, featuring two sound installations and an accompanying series of prints. In his second solo show at the Berlin gallery, the artist examines the very condition of a given exhibition by ridding the project of content and isolating the set-up itself through a meta-installation of ‘displays’. 

A Long Day for the Form showcases David Maljković´s current body of work, in which he gives his own artistic practise a radical restaging, an approach recently explored in shows at Kunsthalle, Basel, Sculpture Centre, New York and Seccession, Vienna. Objects developed as presentation structures for other contexts and contents have been cleared out, emptied and arranged in the gallery as isolated sculptural objects and architectural structures, while small interventions by the artist such as sound and light serve to recall the presence of missing works. By concentrating on these various forms of display, Maljković focuses attention on his own artistic strategies and experiences as well as addressing the act of exhibiting itself. 
The installation A Long Day for the Form (2012) consists of a large studio reflector panel lit by a single spotlight. Reflected light is directed onto an elevated architectural element, constructed in the corner of the gallery, from which the sound of chirping crickets can be heard. The sculptural structure demonstrates the artist’s use of avante garde architecture and design as a constant point of reference. The monotonous sound of the crickets activates and enlivens the space, but at the same time evokes memories of long, hot, exhausting summer days. The installation opens up contradicting temporalities, a central concern in David Maljković´s work; on the one hand the display structure may have been emptied of artworks; on the other hand, the projector and empty walls represent the possibility of a future presentation. The installation can thus be read both as a symbol of the absent past or of a history yet to be materialized, or a future that may never arrive. 

David Maljković works with the gallery space, modifying the view and architectural parameteres by building elements into the room. A specially built suspended ceiling has been constructed at the far end of the gallery, housing a set of speakers, and a spotlight is positioned outside the window. The architectural intervention blocks the expansive gallery window, disruptuting the scenic space and the peaceful environment the sound of the crickets and the light from the window initially generates. 
Through consideration of the gallery’s architecture, Maljković´s works engage with the space and thoroughly transform it’s expression. 

The exhibition will also include a series of prints in three parts, featuring a snapshot of a tired art handler at the Vjenceslav Richter Collection in Maljković’s native town of Zagreb, Croatia. The work makes reference to one of the artist’s films Images with their own shadows (2008). Maljković merges the photographs with an impression of the projection device used for the original installation. By displaying the three prints vertically, like a column, the artist establishes an architectural element to the series. 

David Maljković lives and works between Zagreb and Berlin. Recent exhibitions include Kunsthalle Basel (with Latifa Echakhch, 2012), Sculpture Center, New York (with Lucy Skaer, 2012), Secession, Vienna (2011-2012), Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (2009), Kunstverein Hamburg (2007) and P.S.1 Contemporary Art Center, New York (2007). Recent group exhibitions include La Triennale, Paris (2012), Bucharest Biennale 5 (2012), Gallery of Modern Art, Glasgow (2011 -2012), Arnolfini, Bristol (2011), Centre Pompidou, Paris (2011), Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León (2011) and the 29th Bienal de São Paulo (2010). In 2009 David Maljković was awarded the ARCO Prize for Young Artists in Madrid, followed by the International Contemporary Art Prize Diputació de Castelló in 2010. Forthcoming solo exhibitions include a major survey exhibition at Van Abbemuseum in Eindhoven in 2012, and at Baltic Center for Contemporary Art, Gateshead, UK in 2013. 

GABRIELLA INCERPI: SEMPLICI E CONTINUE DILIGENZE - EDIFIR 2011

GABRIELLA INCERPI
SEMPLICI E CONTINUE DILIGENZE
Conservazione e restauro dei dipinti nelle Gallerie di Firenze nel Settecento e nell'Ottocento
Edifir, 04/05/2011
collana "Storia e teoria del restauro" 

“Semplici e continue diligenze” ripercorre le vicende della conservazione dei quadri nei musei fiorentini dall'inizio del Settecento alla fine dell'Ottocento. Nei primi anni del XVIII secolo, con lo strutturarsi delle collezioni dei dipinti degli Uffizi e di Palazzo Pitti, iniziarono regolari interventi di revisione delle quadrerie granducali preludio al "sistema" basato sull'opera continua di restauratori stipendiati poi adottato nel periodo lorenese; alla fine del secolo XIX, la ricerca di un "criterio giusto" per applicare le istanze di rinnovamento scientifico e metodologico nate nel periodo unitario si sarebbe emblematicamente conclusa, nel 1900, con l'arrivo di Otto Vermehren. Nell'arco di tempo esaminato a Firenze come altrove, vennero sviluppate ed apprezzate tecniche di restauro in grado di far "rivivere" un quadro, aumentandone il pregio non solo artistico. Le Reali Gallerie appaiono come un microcosmo molto particolare, nel quale le metodologie d'intervento non potevano che assumere caratteristiche peculiari: i dipinti di queste collezioni furono infatti oggetto, fin dal periodo mediceo, di cure tese ad assicurarne la conservazione nel tempo. Per quanto non manchino testimonianze d'interventi tecnicamente complessi, tale scopo fu raggiunto soprattutto attraverso un'opera di costante manutenzione: le "semplici e continue diligenze" che furono alla base della tradizione museale fiorentina. 

LA GALLERIA NAZIONALE D'ARTE MODERNA. CRONACHE E STORIA 1911-2011, PALOMBI 2012

LA GALLERIA NAZIONALE D'ARTE MODERNA
Cronache e storia 1911-2011
Palombi, 9/5/2011 

In questa "cronaca e storia" della Galleria Nazionale d'Arte Moderna si è deciso di partire dai suoi archivi, da quelli della Galleria, dagli Archivi di Stato, dai carteggi dei singoli soprintendenti e di quelle figure di spicco della cultura italiana la cui attività si era andata intrecciando e in alcuni casi sovrapponendo a quella della nostra istituzione. E di chiamare quindi a scrivere quanti - soprattutto tra i più giovani - avessero recentemente consultato e pubblicato queste carte. Quanto di solito viene citato parzialmente in nota o virgolettato in poche righe all'interno di un testo, viene qui dato nella sua interezza: in qualche caso si tratta di documenti già noti, in altri di assoluti inediti, ma la lettura integrale di queste fonti si rivela di estremo interesse e consente di uscire da quell'inevitabile ambiguità interpretativa data dalla citazione di una frase estrapolata dal proprio contesto. 

PIETRO MELE: THE END OF THE PROCESS - CHAN, GENOVA



PIETRO MELE
THE END OF THE PROCESS
CHAN Contemporary Art Association
Via Sant'Agnese 19R - Genova
dal 28/6/2012 al 30/9/2012 

Pietro Mele presenta da Chan The end of the process. 

Il video, scritto e girato appositamente per Chan, è presentato in anteprima a Genova. 
A partire dalle storie separate di tre personaggi, che procedono indipendenti ma si incontrano in un gioco di rimandi e allusioni, il video procede attraverso immagini simboliche e archetipi visivi riproposti in una dimensione velatamente ironica. 
Il paesaggio in cui è girato il video, osservato con estrema cura visiva, fa da quinta a una narrazione fatta di elementi non lineari che si ricompongono insieme alle parole di una lettera di Gramsci, lette da una voce narrante. 

Il video coinvolge così lo spettatore in questa dimensione di spaesamento, costruita per rimandi e allusioni, che misteriosamente confonde e interroga chi guarda. 

Pietro Mele (Alghero 1976). Vive e lavora tra Berlino e Ittiri. 
Premi: Senz’appello, GAMC - San Marino, San Marino (2012); 26th Torino Film Festval, Torino (2008); Mostre personali: Another degree of normality, Placenta Arte, Piacenza (2011). Mostre colletve: Sogenannte Umfeldaussagen, Motorenhalle, Dresden (2012); Politkacton 1972-2012. Il sistema è la crisi, Disturb Project Space, Scafat; Io non ho mani che mi accarezzino il volto, Mole Vanvitelliana, Ancona (2011); Contours, Otrascosas de Villarrosàs, Barcelona (2011); Videoreport Italia 08_09, GC.AC - Museum of Contemporary Art, Monfalcone (2010); Atelier, PACT Zollverein, Essen (2010); Actual fears: mixed gaps & vertgo, CAN - Centre d’Art Neuchâtel, Neuchâtel (2010); Visions in New York City, Columbia University, New York (2009); WRO 09 - 13th Media Art Biennale, Wrocław (2009); Documents, Spinola Banna Foundaton, Torino (2009) 
Festival/proiezioni: Milano Film Festival, Milano (2011); Hors Pistes, Centre Pompidou, Paris (2010); Out of tracks, Pera Museum, Istanbul (2010); Loop Festival – The Platorm For Videoart, Barcelona (2010); 23rd European Media Art Festival, Osnabrück (2010); 55th Internatonal Short Film Festval, Oberhausen (2009); 6th Naoussa Internatonal Film Festival, Naoussa (2009); 26th Torino Film Festival, Torino (2008); Media Art Festival for Film and Video / Northern Film Festival, Leeuwarden (2008) 

martedì 26 giugno 2012

EDVARD MUNCH: THE MODERN EYE - TATE MODERN, LONDON



EDVARD MUNCH
THE MODERN EYE
Tate Modern
Bankside - London
27/6/2012 - 14/10/2012

Few other modern artists are better known and yet less understood than Norwegian painter Edvard Munch (1863–1944). This exhibition examines the artist’s work from the 20th century, including sixty paintings, many from the Munch Museum in Oslo, with a rare showing of his work in film and photography.
Munch is often seen as a 19th-century Symbolist painter but this exhibition shows how he engaged with modernity and was inspired by the everyday life outside of his studio such as street scenes and incidents reported in the media – including The House is Burning 1925–7, a sensational view of a real life event with people fleeing the scene of a burning building.
The show also examines how Munch often repeated a single motif over a long period of time in order to re-work it, as can be seen in the different versions of his most celebrated works, such as The Sick Child 1885–1927 and Girls on the Bridge 1902–27.
Munch’s use of prominent foregrounds and strong diagonals reference the technological developments in cinema and photography at the time. Creating the illusion of figures moving towards the spectator, this visual trick can be seen in many of Munch’s most innovative works such as Workers on their Way Home 1913–14. He was also keenly aware of the visual effects brought on by the introduction of electric lighting on theatre stages and used this to create striking effect in works such as The Artist and his Model 1919–21.
Like other painters such as Bonnard and Vuillard, Munch adopted photography in the early years of the 20th century and largely focused on self-portraits, which he obsessively repeated. In the 1930s he developed an eye disease and made poignant works which charted the effects of his degenerating sight. 

INVASIONI DI CAMPO - MUSEO PECCI, MILANO



INVASIONI DI CAMPO
Museo Pecci
Ripa di Porta Ticinese 113 - Milano 
dal 27/6/2012 al 28/7/2012 

Artisti: Carlo Guaita, Karen Kilimnik, Job Koelewijn, Willy Kopf, Maurizio Nannucci, Julian Opie, Erwin Wurm 

Le opere di sette artisti, appartenenti alla raccolta del Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, sono state selezionate quali campioni emblematici di intrusione e espansione spaziale, di sconfinamento territoriale e occupazione di ambiti extra artistici come la cronaca politica e sociale, la fiction televisiva, la produzione industriale, la segnaletica, il gioco e la guerra. L'esposizione è scandita dalla presenza scenica di queste installazioni e grandi sculture che "invadono il campo" e interferiscono con le abitudini e le aspettative del pubblico, oltreché con l'ambiente espositivo. Gli intrecci formali e i travasi simbolici delle opere provocano esiti intriganti e poetici, determinando una sospensione temporale fra un inizio e una fine, fra la caduta e l'ascesa, in attesa della prossima scossa. 
Come ha scritto il poeta svedese Stig Dagerman, la vita "non è qualcosa che si debba misurare. Nè il salto del capriolo né il sorgere del sole sono delle prestazioni. E nemmeno una vita umana è una prestazione, ma uno svilupparsi e ampliarsi verso la perfezione. E ciò che è perfetto non dà prestazioni, opera nella quiete... riposa in se stesso come una pietra sulla sabbia." Nella partita quotidiana fra paura e speranza, gioia e dolore, non è il risultato che conta; vale "tutto quel che conferisce alla mia vita il suo contenuto meraviglioso (e) si svolge totalmente al di fuori del tempo" (Stig Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione, Stoccolma 1952; trad. it. 1989). 

Carlo Guaita
Nella composizione Senza titolo (1988) elementi geometrici piani si alternano in forme chiuse e aperte. L'inserimento cromatico dell'ossido di ferro (giallo di Marte) convalida la materia da cui deriva e conferisce all'intera struttura un aspetto apparentemente incompiuto, trasformando l'opera in un organismo che sembra autodeterminarsi e evolversi liberamente nello spazio, espandendosi e contraendosi oltre i limiti descritti dalla stessa griglia metallica. 

Karen Kilimnik
L'installazione (1992), ispirata a un episodio del serial televisivo americano The Avengers (i giustizieri, della fine anni Sessanta), si articola in due parti complementari: nella prima una cassa cela al proprio interno il "corpo del delitto"; nella seconda un paio di stivali in gomma evoca la presenza/assenza della vittima o del carnefice. Gli ombrelli, con il loro tocco noir, contribuiscono a generare un "alone di mistero" alle scene, che i teli di plastica isolano e congelano nella loro immutabile istantaneità. 

Job Koelewijn 
Jump (2005) combina in maniera apparentemente straniante il tappeto elastico e il patibolo, la spensieratezza infantile del gioco e la tragica drammaticità della condanna, l'affermazione dell'esercizio ginnico e l'annientamento dell'esecuzione capitale. Il pubblico è stimolato a livello psicologico e simbolico, piuttosto che sollecitato alla pratica fisica, diviso (come Icaro) fra l'irrefrenabile desiderio di elevazione e l'impulso eroico al sacrificio. 

Willy Kopf
La sezione del parallelepipedo di legno truciolare contraddice, nella frammentazione dei vari elementi che lo compongono, l'apparente omogeneità della sua forma chiusa, logica quindi assoluta. La moltiplicazione seriale di questo modulo prefabbricato nell'installazione Senza titolo (1987) ne sviluppa e articola la complessità spaziale declinandolo come elemento costitutivo di una struttura aperta, discrezionale e perciò relativa. 

Maurizio Nannucci
Il Sigillo di Salomone realizzato con tubi al neon nel 2003 (sul modello di un precedente presentato alla Villa Arson di Nizza nel 1992) è l'emblema del perfetto equilibrio fra l'elemento maschile, il principio spirituale rappresentato dal triangolo con la punta rivolta verso l'alto, e l'elemento femminile, il principio corporale rappresentato dal triangolo con la punta rivolta verso il basso. Sintetizza inoltre i quattro elementi corrispondenti ai colori usati (fuoco/rosso, acqua/blu, aria/giallo, terra/verde, a cui si associano le proprietà fondamentali della materia: caldo, freddo, secco, umido), riferibili pure alla forma quadrata entro cui l'artista ha compresso l'esagramma tradizionale, la cosiddetta "Stella di David". 

Julian Opie
Gli elementi colorati che compongono la scultura a rilievo (1986) sono assemblati liberamente come grandi costruzioni per bambini, mantenendo l'aspetto di morbidezza nonostante la solidità delle sue forme metalliche e l'apparenza di leggerezza seppure il loro peso sia considerevole. Il titolo, Postal staff returns to work (il personale delle poste ritorna al lavoro), contiene riferimenti a vicende politico-sociali che impediscono di interpretare la scultura come composizione astratta, dirigendo l'attenzione sull'astrazione del messaggio a cui essa è arbitrariamente associata. 

Erwin Wurm
Tank (1987) riproduce un oggetto domestico, un recipiente metallico apparentemente innocuo che, mutando repentinamente il proprio significato, sembra assumere l'aspetto aggressivo dello strumento bellico. Per l'artista il contenitore assume un effetto scultoreo, "non di massa ma di volume". La copertura lo protegge come un bunker, una "seconda pelle" e gli conferisce un doppio senso. Costruzione e simulazione, funzione e distruzione si mescolano e confondono nell'opera.

NATHALIE HEINICH: DE LA VISIBILITÉ - GALLIMARD 2012

NATHALIE HEINICH 
DE LA VISIBILITÉ
Excellence et singularité en regime mediatique
Gallimard, 29/3/2012
collection "Bibliothèque des Sciences humaines"

Depuis l'invention de la photographie, les moyens modernes de reproduction et de diffusion de l'image des personnes ont creusé une spectaculaire dénivellation entre celles qui sont reconnues par un grand nombre de gens qu'elles-mêmes ne connaissent pas et les autres, qui reconnaissent sans être reconnues. Cette dissymétrie crée un "capital de visibilité", dont les détenteurs forment une catégorie sociale à part entière, une nouvelle élite.
Comme la "lettre volée" d'Edgar Poe, ce phénomène crève les yeux tout en demeurant largement invisible et peu objectivé : situation d'autant plus paradoxale s'agissant de la capacité de certains d'être vus plus que d'autres. Son expansion durant tout le XXe siècle en fait pourtant un trait majeur de notre modernité, un "fait social total", au sens de Marcel Mauss, que Nathalie Heinich traite ici dans toutes ses dimensions : technologiques, historiques, sociologiques, économiques, juridiques, psychologiques et morales.
Après L'Élite artiste, où l'auteur analysait l'essor des artistes créateurs au XIXe siècle en tant que nouvelle élite démocratique fondée sur la singularité, De la visibilité explore, en se gardant de tout jugement moral, l'assomption de l'élitisme médiatique au XXe siècle, qui fait reposer l'excellence sur la seule visibilité. S'il existe des effets de démocratisation dans l'accès à la célébrité, celle-ci demeure avant tout le privilège d'une élite. "L'inégalité dans l'interconnaissance est l'une des formes les plus simples et les plus fondamentales d'inégalités. Trop simple pour avoir été remarquée ?" 

ALAIN JOUFFROY: L'ABOLITION DE L'ART - LE IMPECCABLES 2011

ALAIN JOUFFROY
L'ABOLITION DE L'ART
Les Impeccables, octobre 2011

Paru une première fois en février 1968 à l'enseigne de la galerie Claude Givaudan, L'Abolition de l'art est l'un des textes les plus emblématiques parmi ceux préfigurant Mai 68, mais aussi dans la réflexion d'Alain Jouffroy sur l'art. Accompagné ici, et pour la première fois, du film éponyme réalisé dans la foulée, et de deux textes qui en redistribuent les enjeux (« Que faire de l'art ? », écrit en août 1968, et « Le futur abolira-t-il l'art ? », écrit en 1970); les propositions de L'Abolition de l'art se présentent désormais comme un ensemble autonome dont Alain Jouffroy donnait la portée inaugurale en ces termes : « C'est au moment où, devant une œuvre nous oublions qu'elle relève de l'art, au moment où la méthode d'exécution suscite dans le spectateur, une méthode de méditation - une série d'actes organisés par la pensée - que nous sommes confrontés vraiment avec nous-même, avec le feu. C'est ce basculement que j'appelle l'Abolition de l'art (...). »
Cette édition, accompagnée des plans des « Urgences » de Daniel Pommereulle et du DVD du film, est préfacée par Pablo Durán. 

SILVANO MORASSO: LA PAGA DEL SINDACATO - CAFFE' CAMBI, GENOVA 27/6/2012

SILVANO MORASSO
LA PAGA DEL SINDACATO
presentazione del volume edito da Liberodiscrivere
Cambicaffé
mercoledì 27 giugno 2012, ore 17,30

Intervengono Renzo Miroglio, Silvio Ferrari, Antonio Sanguineti
Modera Franco Monteverde

Mezzo secolo della FIOM, della CGL, del P.C. e della classe operaia in Valpolcevera attraverso il racconto di Silvano Morasso figlio di Giuseppe presidente Consiglio Gestione della San Giorgio.

“Essere il figlio di un proletario che, per coscienza e capacità, diventa un capo riconosciuto, un dirigente sindacale di livello provinciale (e poi nazionale), proveniente dall'esemplare realtà sociale della Val Polcevera, nella dura e al tempo stesso trasparente condizione di classe della Genova degli anni '50. Crescere in una famiglia tanto sobria quanto sensibile a tutti i valori della solidarietà, dell'aspirazione civile e morale verso una società diversa che erano i principi alla luce dei quali venivano educati tanti 'figli' della classe operaia (in consonanza e anche con differenze profonde rispetto ai precetti pur sempre dominanti della cultura impartita dalle parrocchie cattoliche). E al tempo stesso aderire sempre più intensamente, in modo biologico ed esistenziale, all'età della propria infanzia, poi dell'adolescenza e infine alla stagione della maturità personale, secondo il naturale percorso fatto di relazioni, aspirazioni, pulsioni e passionalità celate ma, via via, sempre più manifeste e infine realizzate o almeno vissute nella quotidianità. C'è in questo scritto di Silvano Morasso quasi un profilo paradigmatico della testimonianza che molti altri, oggi quasi settantenni, avrebbero potuto ricostruire e offrire al lettore, anche per non disperdere la memoria delle molte cose che appartengono a quella generazione. Con qualche implicito rischio di scegliere il tono nostalgico, o per contro il richiamo al rigorismo operaio o infine il moralismo del rimpianto di fronte ad un presente spesso letto solo in chiave di delusione e disgusto. Ma qui l'autore –servendosi di una sana coscienza di autodidatta dalle buone letture– non solo evita tutti gli 'scogli' appena richiamati, ma adottando la freschezza di uno stile narrativo originale e anche spregiudicato, ci offre un lungo racconto di intensa partecipazione umana che accenderà molte emozioni in chi potrà riconoscersi in tanti passaggi di questa storia (per esserci stato), ma forse svelerà anche a qualche giovane sensibile alla conoscenza del passato, molto materiale utile per comprendere come sono andate tante cose e come si è giunti anche ai giorni che viviamo.”
- Silvio Ferrari 

lunedì 25 giugno 2012

LUCA SIGNORELLI - GALLERIA NAZIONALE DELL'UMBRIA, PERUGIA



LUCA SIGNORELLI
DE INGEGNO ET SPIRTO PELEGRINO
a cura di Fabio De Chirico, Vittoria Garibaldi, Tom Henry e Francesco Federico Mancini 
Galleria Nazionale dell'Umbria 
corso Vannucci 19 - Perugia
dal 21/4/2012 al 26/8/2012 

Il 21 aprile 2012 apre al pubblico la grande mostra dedicata a Luca Signorelli (Cortona 1450 ca -1523), uno dei più importanti maestri del Rinascimento, un artista “de ingegno et spirto pelegrino”, come lo definì Giovanni Santi, il padre di Raffaello, lungamente attivo in Italia centrale dal 1470 al 1523. La rassegna monografica che si apre a Perugia è la prima dal lontano 1953. 
La mostra presenta oltre 100 opere, di cui 66 del pittore cortonese, si articola in tre sedi espositive: a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria, a Orvieto nel Duomo, nel Museo dell’Opera e nella chiesa dei Santi Apostoli, a Città di Castello nella Pinacoteca Comunale. 
Curata da Fabio De Chirico, Vittoria Garibaldi, Tom Henry e Francesco Federico Mancini, la mostra è promossa dalla Regione Umbria e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali insieme alle Province di Perugia e di Terni, ai Comuni di Perugia, Città di Castello e Orvieto, alle Diocesi di Perugia, Città di Castello e Orvieto, all’Opera del Duomo di Orvieto, alle Fondazioni delle Casse di Risparmio di Perugia, Città di Castello e Orvieto, alle Camere di Commercio di Perugia e di Terni e all’Università degli Studi di Perugia. L’organizzazione dell’evento è affidata a Civita. 

Nella sede della Galleria Nazionale dell'Umbria di Perugia sarà illustrata l'intera carriera artistica di Luca Signorelli, a partire dalla sua formazione. Nell’introduzione al catalogo della mostra del 1953 si lamentava l’assenza delle Madonne di Boston, Oxford e Venezia, che, messe a confronto con l’affresco staccato di Città di Castello, sarebbero state fondamentali per verificare la tesi di Bernard Berenson, che aveva raggruppato “tali cose piefrancescane” sotto il nome di Signorelli giovane. La mostra di Perugia ripara a quella lacuna, mettendo in sequenza i quattro dipinti, con l’aggiunta, davvero importante, dell’intrigante Presentazione al Tempio, ex Cook e già Morandotti, venduta di recente da Sotheby’s a New York e gentilmente concessa in prestito dal nuovo proprietario. E’ possibile delineare, così, quella che i curatori della mostra, in linea con l’intuizione di Berenson, ritengono sia l’effettiva fisionomia artistica dell’esordiente maestro cortonese. Il quale, anche a dire di Giorgio Vasari, mosse i primi passi all’ombra del grande maestro prospettico. Per sottolineare l’influenza avuta da Piero della Francesca sul giovane Signorelli la mostra si apre con la Madonna di Senigallia, capolavoro maturo del pittore di San Sepolcro concesso in prestito dalla Galleria Nazionale delle Marche, che dialoga inoltre con il polittico di Sant’Antonio da Padova, stabilmente conservato nella Galleria Nazionale. 
Dopo l’esordio pierfrancescano, la mostra mette in luce la svolta che, nel percorso di Signorelli, è rappresentata, nella seconda metà degli anni settanta, dall’incontro con il Verrocchio a Firenze. 
Una bellissima testa di San Girolamo, ascrivibile a quest’ultimo dà modo di comprendere il senso di quella svolta, comune ad altri artisti come Perugino e Bartolomeo della Gatta, attivi in quegli stessi anni accanto al Verrocchio e, naturalmente, presenti in mostra con opere di quel periodo. 
Capolavoro giovanile del Signorelli e punto di snodo del percorso espositivo è la cosiddetta Pala di Sant’Onofrio del Duomo di Perugia, realizzata nel 1484 quando la diocesi di Perugia è retta dal vescovo cortonese Dionisio Vannucci, nipote e successore come vescovo del più famoso Jacopo. 
Qui Signorelli, che ha appena concluso la sua breve ma esaltante esperienza sui ponteggi della Cappella Sistina, raggiunge l’apice della sua potenza espressiva. 
Il percorso si dipana, poi, attraverso una serie di dipinti, molti dei quali indiscutibili vertici della pittura rinascimentale italiana, come il Tondo di Monaco o la Madonna Medici. Nel tentativo, in parte riuscito, di riassemblare opere del Signorelli smembrate in antico e oggi disperse in varie sedi museali italiane e straniere, vengono poi presentati alcuni frammenti della pala Bichi, parti della pala di Matelica e della pala Filippini di Arcevia, mentre l’Annunciazione di Volterra viene ricostruita in ogni suo elemento. 
Chiude la rassegna una selezione di disegni provenienti dal Louvre, dagli Uffizi, dal British Museum e da altre collezioni. Questa parte della mostra è di fondamentale importanza per capire quale ruolo abbia avuto la progettazione grafica nella costruzione della grandiosa ed eroica umanità del Signorelli. 

Nel Duomo di Orvieto Luca Signorelli ha affrescato il grandioso ciclo del Giudizio Universale nella Cappella Nova o di San Brizio (1499-1504), culmine della pittura rinascimentale, con le famosissime immagini del Finimondo, dell’Inferno e del Paradiso. 
La decorazione, avviata nel 1447 da Beato Angelico, fu portata avanti e compiuta da Signorelli che ne fece vertice sommo del nuovo stile, impareggiabile se non dai grandi maestri, come Michelangelo che ne trasse ispirazione e insegnamento per il Giudizio della Cappella Sistina. 

Nel Museo dell’Opera del Duomo (MODO) si conserva la tavola raffigurante Santa Maria Maddalena. Per l’occasione le opere sono state riunite in uno spazio interamente dedicato all’artista cortonese dove è allestito anche il cantiere di restauro della Pala di Paciano, aperto al pubblico. 
Dal Museo è possibile accedere per la prima volta dopo il restauro alla Libreria Albèri: un suggestivo ambiente rinascimentale decorato negli anni del cantiere signorelliano con soggetti profani ispirati al linguaggio artistico del maestro. Fu edificata nel 1499 tra la cattedrale e il nucleo più antico dei Palazzi Papali, per accogliere la biblioteca del vescovo Antonio Albèri (1423 ca -1505), già arcidiacono del duomo nonché precettore del futuro papa Pio III Piccolomini, che la donò per testamento all’Opera del Duomo. Il ciclo di affreschi che ne orna le pareti è dedicato ai più famosi autori delle discipline presenti nelle sezioni della biblioteca. 
Questo spazio d’eccezione accoglie alcuni volumi incunaboli appartenenti alla collezione di Albèri e oggi conservati presso la Biblioteca Comunale di Orvieto, oltre a registri originali dell’Archivio di Stato e dell’Archivio dell’Opera del Duomo che documentano gli incarichi e l’attività orvietana di Signorelli. Viene qui esposto anche il raro dipinto su terracotta che ritrae Luca Signorelli e Niccolò Franchi, camerlengo della Fabbrica, probabile opera autografa dello stesso Signorelli. 
Nella chiesa dei Santi Apostoli, concessa nel 1625 alla Compagnia di Gesù e quindi ristrutturata secondo gli schemi di epoca barocca, è allestita una significativa rassegna di dipinti del Novecento: sono le opere di Fabrizio Clerici (1913-1993) e di Livio Orazio Valentini (1920-2008) che illustrano la ricerca portata avanti in contesti diversi nel segno profondo di Signorelli. 

Il monumentale palazzo Vitelli alla Cannoniera, a Città di Castello, è il terzo sito della rassegna, per una precisa scelta dei curatori di non spostare dalla Pinacoteca Comunale alcun dipinto del maestro cortonese; anzi di incrementare il già importante nucleo esistente con altre opere provenienti da collezioni italiane e straniere. Al tempo della signoria dei Vitelli, Città di Castello offrì al pittore molte, importanti occasioni di lavoro. Oltre ai ritratti di alcuni esponenti della famiglia Vitelli, l’artista eseguì infatti svariati dipinti per le principali chiese cittadine, a cui guardò con attenzione il giovane Raffaello. Restano a Città di Castello il bellissimo Martirio di San Sebastiano, l’appena restaurato gonfalone di San Giovanni Battista e la gigantesca pala di Santa Cecilia, opera tarda (1517 circa), ma di estremo interesse per comprendere il funzionamento della bottega signorelliana. Dopo il 1510, Signorelli concesse ampio spazio ai suoi collaboratori, pur non mancando di fornire disegni, spunti e idee compositive. Accanto alle opere della Pinacoteca, vengono presentati una decina di dipinti. Fra questi il bel tondo della Galleria Comunale di Prato, alla cui esecuzione potrebbe aver concorso Francesco Signorelli, nipote dell’artista e suo principale collaboratore, i Santi Rocco e Sebastiano dell’Accademia Carrara di Bergamo, una Presentazione al Tempio di collezione privata e una serie, interessantissima, di predelle tuttora sottoposte al vaglio della critica per la loro storia antica scarsamente documentata (la predella di Bucarest, della pala di Castel Sant’Angelo, della pala di Foiano della Chiana, dell’Assunzione di Cortona). 

Altre sedi della mostra 
Duomo, Museo dell’Opera e chiesa dei Santi Apostoli
piazza Duomo 26 - Orvieto

Pinacoteca Comunale
Via della Cannoniera - Città di Castello 

ALIGHIERO BOETTI: GAME PLAN - MOMA, NEW YORK


ALIGHIERO BOETTI 
GAME PLAN. A FULL RETROSPECTIVE 
MoMA The Museum of Modern Art 
11 West 53 Street - New York 
26/6/2012 - 1/10/2012 

Alighiero Boetti: Game Plan marks the largest presentation of works by Alighiero Boetti (Italian, 1940–1994) in the United States to date. A full retrospective spanning the artist’s entire career, the exhibition will be on view in two locations in the Museum from July 1 to October 1, 2012. Celebrating the material diversity, conceptual complexity, and visual beauty of Boetti’s work, the exhibition brings together approximately 100 works across many mediums that address Boetti’s ideas about order and disorder, non-invention, and the way in which the work is concerned with the whole world, travel, and time. Proving him to be one of the most important and influential international artists of his generation, the exhibition focuses on several thematic threads, demonstrating the artist’s interest in exploring recurring motifs in his work instead of a linear development. In The International Council of The Museum of Modern Art Exhibition Gallery on the sixth floor, the exhibition will feature works from the first 15 years of the artist’s career, while works in the Donald B. and Catherine C. Marron Atrium on the second floor are drawn from the latter part of his career, focused on Boetti’s embroidered pieces and woven rugs. Alighiero Boetti: Game Plan is organized in collaboration with the Museo Reina Sofía in Madrid and the Tate Modern in London, where the exhibition was previously on view, and is organized at The Museum of Modern Art by Christian Rattemeyer, The Harvey S. Shipley Miller Associate Curator of Drawings. 
Working in his hometown of Turin in the early 1960s among a close community of artists that included Luciano Fabro, Mario Merz, Giulio Paolini, and Michelangelo Pistoletto, among others, Boetti established himself as one of the leading artists of the Arte Povera movement. Organized chronologically, the MoMA exhibition will begin with his sculptural objects, comprising everyday “hardware store” materials including wooden sticks, cardboard, and fiber cement tubes. Brought together (many for the first time since Boetti’s seminal exhibition at Galleria Christian Stein in Turin in 1967) and installed in a dense configuration inspired by the original clustered presentation, these early works convey the material experiments of the period and already suggest notions of measurement and chance that Boetti would play with and revise throughout his career. 
While Boetti is often chiefly affiliated with the Arte Povera moment, this exhibition will consider Boetti beyond these brief years. In 1969 Boetti began exploring notions of duality and multiplicity (famously ‘twinning’ himself into ‘Alighiero e Boetti’), order and disorder, travel and geography, and he initiated postal and map works imagining distant places. For the work Viaggi Postali, begun the summer of 1969, Boetti sent envelopes to friends, family, and fellow artists but used imaginary addresses, forwarding each returned envelope to yet another non-existent place, thus creating imaginary journeys for the people he admired. The exhibition brings together this and other works related to travel, geography, and mapping, many of which relate to his extensive travels to Afghanistan, where he operated the One Hotel as an artist’s project from 1971 until the Soviet invasion in 1979 (archival materials from that project will be on view). During this period, Boetti began working with local artisans to produce embroideries such as the Mappas (maps), Arazzi (word squares), and Tutto (literally, “Everything”), culminating in his multi-year research project to classify the 1000 longest rivers in the world: an idea equally poetic and scientific, rigorous and absurd. 
An important aspect of Boetti’s oeuvre is drawing, which runs as a constant throughout his work. A monumental Biro (ball point pen) drawing from 1973, spelling out the title “Mettere al mondo il mondo (Bringing the world into the world)” points to some of Boetti’s ideas about art making that were fundamental to his practice: that the artist, rather than inventing, simply brings what already exists in the world into the work; and that everything in the world is potentially useful for the artist. 


MATTEO SCHIANCHI: STORIA DELLA DISABILITÀ - CAROCCI 2012

MATTEO SCHIANCHI
STORIA DELLA DISABILITÀ 
Carocci, 2012
collana "Quality paperbacks" 

La disabilità è da sempre parte della storia dell’umanità, ma non è sempre la stessa storia. Le pratiche sociali e i pregiudizi continuano a trasformarsi attraverso le diverse epoche. Il mostro del mondo greco-romano non è il soggetto studiato dalla teratologia nell’Ottocento. Mettere in mostra i diversi, prima di essere spettacolo da baracconi è stato un vanto dei potenti in età antica e moderna. L’elaborazione delle pedagogie speciali attraversa il Rinascimento e l’Illuminismo. Lo sviluppo dello stato sociale, dopo lo sterminio dei disabili nella Germania nazista, rischia oggi di tornare un welfare caritatevole noncurante dei diritti. Nello scenario della disabilità come effetto collaterale del nostro mondo si fanno largo le persone e le associazioni che vivono una fase di inedito protagonismo. 

MARIE-CLAUDE BLAIS: SOLIDARIETÀ, STORIA DI UN'IDEA - GIUFFRÉ, 2012

MARIE-CLAUDE BLAIS
SOLIDARIETÀ
Storia di un'idea
Giuffré, 2012
collana "Giuristi stranieri di oggi" 

Marie-Claude Blais è una storica delle idee, che in Solidarietà. Storia di un'idea rivolge lo sguardo al passato recente, per ricostruire la genealogia di una nozione che ha avuto un ruolo centrale nel pensiero politico e sociale francese a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. La Blais rintraccia con sensibilità il filo di una conversazione i cui protagonisti sono oggi in gran parte dimenticati. Economisti, sociologi, attivisti politici. Ne viene fuori un affresco suggestivo e potente. Di particolare interesse sono le pagine dedicate agli scritti di Léon Bourgeois, il principale ispiratore del movimento solidarista, uno dei precursori di quel socialismo liberale che nel nostro paese troverà in Carlo Rosselli il suo difensore più appassionato. Una lettura stimolante per chi vuole riflettere sulla "questione sociale" oggi. 

Mario Ricciardi (Il Sole 24 ore, 24/6/2012) 

ERIKA DELLACASA: I COSTA - PALAZZO DUCALE, GENOVA 26/6/2012



ERIKA DELLACASA
I COSTA
Storia di una famiglia e di un'impresa 
presentazione del volume edito da Marsilio
Palazzo Ducale - Sala del Maggior Consiglio
piazza Matteotti 9 - Genova
martedì 26 giugno 2012, ore 17,30 

Presentazione del libro di Erika Dellacasa (Marsilio Editori). Sono i valori, le battaglie, le sconfitte e le conquiste di una grande famiglia di imprenditori il cuore del libro "I Costa. Storia di una famiglia e di un'impresa" che viene presentato martedi' 26 giugno alle ore 17.30 nel Salone del Maggior Consiglio. In vendita dal 20 giugno nelle principali librerie e nei gift shop delle strutture gestite da Costa Edutainment in Italia. Nato per iniziativa di Giuseppe Costa, presidente di Costa Edutainment, il libro e' stato scritto dalla giornalista Erika Dellacasa ed edito da Marsilio per la collana Gli Specchi. Hanno contribuito in maniera significativa al reperimento e alla selezione della documentazione Andrea, Nicola e Piero Costa. Alla presentazione, moderata da Franco Manzitti, interverranno il cardinale di Genova S.E. Angelo Bagnasco, il neoeletto sindaco di Genova, Marco Doria, Luca Borzani Presidente della Fondazione per la Cultura Palazzo Ducale, Alessandro Pansa per la Fondazione Ansaldo, Giuseppe Costa Presidente di Costa Edutainment, il professore e avvocato Sergio Maria Carbone, la giornalista e autrice del libro Erika Della Casa e parte della famiglia Costa per ripercorrere le principali tappe della storia imprenditoriale descritta nel volume.