giovedì 31 marzo 2016

JORGE MACCHI: PERSPECTIVA - MALBA, BUENOS AIRES




JORGE MACCHI
PERSPECTIVA
curador: Agustín Pérez Rubio
MALBA Museo de Arte Latinoamericano de Buenos Aires
Av. Figueroa Alcorta 3415 - Buenos Aires
18.03.2016 — 23.05.2016

Primera exposición antológica de Jorge Macchi (Buenos Aires, 1963) en nuestro país. Incluye cerca de 60 obras en múltiples formatos: obras sobre papel, videos, pinturas, fotografías e instalaciones, realizadas entre 1990 y la actualidad, provenientes de numerosas colecciones públicas y privadas de Argentina, España, Portugal y Estados Unidos.
La muestra está organizada en diferentes núcleos temáticos, que incluyen sus cartografías, obras hechas de recortes periodísticos, instalaciones donde el tiempo se detiene y el efecto óptico quiebra la realidad, fantasmagorías pictóricas y videoinstalaciones en las que la música tiene un rol fundamental. El título Perspectiva –como sustituto de la palabra retrospectiva– remite a una mirada que va desde el presente hacia el pasado personal y vivencial del artista. También refiere formalmente al arte de reproducir la forma y disposición con que los objetos se manifiestan a la vista y evoca una constante en la obra de Macchi: la tendencia que tiene lo real a deshacerse y el carácter ficticio de los signos que pueblan el mundo.
Gran parte de las obras fueron producidas especialmente por MALBA para la ocasión y se presentan por primera vez en el país, luego de haber sido exhibidas en importantes bienales, ferias y muestras alrededor del mundo. Es el caso de la instalación Buenos Aires Tour, incluida en la Bienal de Estambul de 2003 –que abre la exposición–; Caja de música presentada en la Bienal de San Pablo en 2004; Still Song realizada para el pabellón internacional de la Bienal de Venecia en 2005; y El cuarto de las cantantes, instalación basada en el poema Adiós de Idea Vilariño, en co-autoría con Edgardo Rudnitsky, que se exhibió originalmente en 2006 en la Universidad de Essex (Inglaterra) y en MALBA se presenta por primera vez en español. Así como también las videoinstalaciones XYZ, realizada en 2012 para la galería de Peter Kilchmann, Zürich, y From here to Eternity para el Museo de Lucerna en 2013.
Perspectiva se extiende más allá de las salas de MALBA con dos grandes instalaciones. La primera es Refracción (2012), que se exhibirá en la Sala de Exposiciones de la Universidad Torcuato Di Tella (UTDT) desde el 8 de abril hasta el 3 de junio, y convoca uno de los temas principales de la poética de este artista: la sorprendente irrupción de lo impensable en la realidad. La segunda instalación es La noche de los museos (2016), un site-specific para el Museo Nacional de Bellas Artes (MNBA), que se presentará entre el 15 de abril y el 31 de julio de 2016. Ambas piezas fueron producidas íntegramente por la UTDT y el MNBA, como socios institucionales del museo en este proyecto.

JORGE EDUARDO EIELSON: BRIDGING THE GAP - MAAB GALLERY, MILANO




JORGE EDUARDO EIELSON
BRIDGING THE GAP
a cura di Davide Sarchioni
MAAB Gallery
via Nerino 3 - Milano
31/3/2016 - 13/5/2016 

MAAB Gallery di Milano è lieta di presentare “Bridging the gap” la mostra dedicata a Jorge Eduardo Eielson (Lima 1924 – Milano 2006), quale omaggio a uno dei più grandi artisti peruviani contemporanei, visionario e poliedrico, che è riuscito ad abbracciare i linguaggi e gli strumenti delle arti visive e della letteratura, spaziando dalla performance all’assemblage, dall’installazione alla fotografia, al cinema, per esprimere la molteplicità del mondo.
Il progetto espositivo è incentrato sull’immagine e il significato dei celebri “nodi” che egli introduce progressivamente nei suoi lavori a partire dal 1963, attraverso i quali approda a una vera e propria sintesi culturale, plastica, magica e simbolica.
I nodi di Eielson, derivati da una personalissima elaborazione dell’antico linguaggio incaico dei “quipus”, costituiscono il punto di congiunzione fra la contemporaneità e il passato storico-artistico e antropologico precolombiano, diventando l’imprescindibile fondamento costitutivo del proprio sistema espressivo, quale nucleo estetico e semantico di un codice linguistico nuovo ed estremamente attuale. Essi sono il risultato di una torsione, del piegarsi della tela su se stessa, di una tensione fisica che è prodotta da un gesto esistenziale, dando luogo ad un complesso insieme di significati e di simbologie.
In ogni lavoro il “nodo” è formulato attraverso molteplici e sorprendenti variazioni che esercitano altrettante tensioni per descrivere possibili traiettorie e creare spazi dinamici ed estroflessioni, ora acquietati nella calma del monoscromo, ora più complicati e perturbati da una successione di annodamenti, con fasci di tessuti attorcigliati, che producono interessanti e vivaci giochi plastici e cromatici.
Il “nodo”, l’antico segno quechua, diventa così epicentro di energie e qualità differenti, struttura archetipica capace di suscitare forme spaziali in cui elementi diversi sono legati in un processo in continua evoluzione per congiungere gli opposti e colmare le distanze tra ambiti apparentemente inconciliabili, tra ricerca materiale e quella metafisica, ovvero tra la componente oggettuale e concreta del suo lavoro, che occupa lo spazio della superficie della tela, e quella mentale, metaforica e filosofica.
In mostra una scelta di lavori diversi per tipologia, forme e dimensioni, fra i quali “Camicia” del 1963, alcuni “Quipus” monocromi e colorati degli anni ’60 / ’70, gli annodamenti della serie “Amazzonia” del 1978-79, fino al grande “Disco Terrestre” del 1989.
Sarà disponibile una pubblicazione con testo Italiano / Inglese di Davide Sarchioni.

Jorge Eduardo Eielson è nato il 13 aprile 1924 a Lima, da madre peruviana e padre nordamericano di origine norvegese. Fin da piccolo dimostra di possedere doti eccezionali per la scrittura, la pittura e la musica. Ha solo 21 anni quando vince il premio nazionale di poesia con Reinos, la sua prima raccolta poetica pubblicata. L’anno seguente dà a conoscere i suoi disegni su riviste e quotidiani di Lima, e con i suoi amici Javier Sologuren e Sebastián Salazar Bondy pubblica un’antologia di poesia peruviana con illustrazioni di Fernando de Szyszlo.
Nel 1948 tiene la sua prima mostra personale di opere grafiche, dipinti e sculture. Benché inserito molto bene nell’ambiente culturale della sua città, desidera e sente il bisogno di conoscere l’Europa, e un anno dopo, nel 1949, ottiene una borsa di studio che gli permette di andare a Parigi e di stabilirvisi. Conosce il gruppo di artisti geometrici MADI e alcuni dei suoi principali protagonisti e aderisce al movimento, realizzando con loro, nel Salon des Realités Nouvelles, la sua prima esposizione europea formata da opere astratte e geometriche e di mobiles. Nel 1950 gli viene assegnata una seconda borsa di studio, questa volta dell’UNESCO, e si trasferisce a Ginevra, dove comincia a elaborare una poesia diversa, di sperimentazione grafica e visiva. Nel 1951 arriva a Roma, e decide di rimanerci, lavorando come corrispondente di arte e letteratura per vari quotidiani e riviste latinoamericane. Allo stesso tempo entra a far parte del gruppo dell’Obelisco, fa amicizia con Dorazio e Mimmo Rotella e realizza varie esposizioni. Ma tra il 1954 e il 1958 si concentra quasi esclusivamente sull’attività letteraria.
Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 vive tra Parigi e varie città italiane. Viene invitato alla biennale di Venezia nel 1964, nel 1966 e nel 1972, alla Mostra di Arte Latinoamericana del Festival dei Due Mondi di Spoleto, alla biennale di Parigi, dove vengono organizzate varie esposizioni. Nel 1967 viaggia a New York e lì frequenta l’ambiente dell’Hotel Chelsea; poco dopo va a Lima dove realizza una grande mostra nella Galleria Moncloa. In questo periodo è molto attivo sia nel campo artistico sia in quello letterario.
Negli anni ‘80 Eielson pubblica nuovi libri di poesia e di narrativa.
A partire dal 2000 il nome di Eielson si diffonde sempre di più e la sua opera si propone in numerose antologie, cataloghi e volumi critici.
Dopo la morte del compagno, Michele Mulas, nel dicembre del 2002, la malattia che già stava consumando l’organismo di Eielson diviene sempre più evidente e dolorosa, riducendo notevolmente la sua autonomia. Nonostante questo, egli continua a produrre e a scrivere, mantenendo numerosi rapporti di lavoro e i contatti con gli amici. Muore l’8 marzo 2006  

CARLO CRESTI: IL GIARDINO ITALIANO - PONTECORBOLI 2016




CARLO CRESTI
IL GIARDINO ITALIANO
Mostra di Firenze 1931
Pontecorboli Editore (10 gennaio 2016)

La mostra fu un grosso avvenimento gestito da Ugo Ojetti con l'intenzione di "rimettere in onore un'arte singolarmente nostra", ma risultò carente, espositivamente, negli aspetti iconologici e simbolici. L'iniziativa venne integrata da concorsi progettuali per un giardino pubblico all'italiana, per un giardino privato annesso ad un villino di città, per un giardino pensile di carattere moderno e italiano, che videro la partecipazione di architetti professionisti e giovani studenti delle Scuole di Architettura.

GUIDO GIUBBINI: IL GIARDINO DEGLI EQUIVOCI - DERIVEAPPRODI 2016




GUIDO GIUBBINI
IL GIARDINO DEGLI EQUIVOCI
Controstoria del giardino da Babilonia alla Land Art
DeriveApprodi (31 marzo 2016)
Collana: Habitus

Sono mai esistiti i giardini di Babilonia? Perché il mitico giardino persiano quadripartito e prototipo di quello arabo non è affatto diviso in quattro? Qual è la rivoluzione cui assistiamo nel Rinascimento? Dove sta il vero e il falso in un giardino che sopravvive per secoli al disegno del suo autore, a fronte di una natura e di un contesto che si evolvono? Da Versailles all'Isola Bella, da Villa d'Este ai paesaggi di Piemonte e Liguria, dall'Uzbekistan all'Inghilterra, "Il giardino degli equivoci" è un viaggio sulle forme storiche e architettoniche di quello spazio fatto di verde, acqua, luce, materie vive, inserito in un ambiente e organizzato da uno o più autori, chiamato "giardino". Dove stanno gli equivoci? Se il giardino ha una lingua, è possibile fraintenderlo... Un racconto ironico e colto che attingendo a fonti storiche, letterarie, artistiche riesce nell'intento di ridisegnare ai nostri occhi l'originalità dei giardini indagati, suggerendo un irriverente sguardo critico con cui osservarli, passando per quindici equivoci.

ADRIANO SILINGARDI: LUOGHI PERDUTI - CISTERNE DI SANTA MARIA DI CASTELLO, GENOVA




ADRIANO SILINGARDI
LUOGHI PERDUTI
Convento di Santa Maria di Castello - Cisterne
Salita Santa Maria di Castello 27 - Genova
1/4/2016 - 12/4/2016
inaugurazione: venerdì 1 aprile 2016, ore 17

Che grande soddisfazione fotografare Genova, i suoi tramonti, le strade, i carruggi, i forti, il mare e le nuvole. Questa è una città bellissima, è facile innamorarsi e perdersi in essa. Ma dietro le quinte, dove i turisti non arrivano, esiste un'altra dimensione, un mondo parallelo che ha pochi punti di contatto con l'altro. Qui sono i luoghi perduti. I punti più vulnerabili sono sempre le periferie, nate spesso con un destino segnato di bruttezza e abbandono. Non mancano però piccoli o grandi abissi neanche nei quartieri storici. Questi luoghi sfuocati sono diventati lo scenario di una lunga avventura visuale e umana, un viaggio a piedi in molte tappe per strade, sentieri, scalinate infinite che uniscono, o spesso dividono, zone della città che abitualmente non si parlano e non si conoscono. Il degrado e il dissesto urbano e sociale nascono in modi diversi, per ragioni diverse, spesso per interessi distorti, a volte solo per ignavia. In queste fotografie manca quasi del tutto la figura umana, non è una scelta stilistica ma la prova di come certi spazi allontanano le persone costringendole ai margini dell'immagine, non protagoniste ma ombre di passaggio.

Adriano Silingardi vive e lavora a Genova, dove è nato nel 1951. Ricercatore, collezionista e fotografo, si interessa da molti anni alla fotografia antica, con particolare attenzione al mondo mediterraneo tra ‘800 e ‘900.
Su questo argomento ha prodotto e allestito mostre (l’ultima su Luigi Fiorillo al museo di Palazzo Rosso, Genova) ed ha pubblicato un libro, “L’Occhio della Sublime Porta”, De Ferrari editore, 2003.
Come fotografo ha prodotto libri, pubblicazioni e mostre dagli anni ’70. L’ultima sua grande mostra fotografica è stata allestita a settembre 2014 presso Palazzo Ducale a Genova, intitolata “Genova in Movimento” sui movimenti politici giovanili a partire dal 1968.

mercoledì 30 marzo 2016

FRANCA FIORAVANTI: PAESAGGI - BIBLIOTECA UNIVERSITARIA, GENOVA 31/3/2016




FRANCA FIORAVANTI
PAESAGGI
proiezione del video
Biblioteca Universitaria di Genova
ex Hotel Colombia
via Balbi 40 - Genova
giovedì 31 marzo 2016, ore 17,30

Il video Paesaggi è la trasposizione poetica dell'esperienza vissuta durante il laboratorio teatrale condotto da Franca Fioravanti nel carcere di Chiavari. Protagoniste del video sono le voci delle persone detenute che declamano la partitura vocale da loro stessi composta. L'idea di creare una testimonianza visiva della poesia Paesaggi, nasce durante il laboratorio, per rendere visibile e condividere fuori dal carcere il percorso attraverso le strade della poesia.
Paesaggi ha ricevuto la menzione speciale al Festival Internazionale di Cortometraggi, La Spezia Short Movie Awards. Menzione speciale a "Paesaggi", per aver portato la libertà dell'arte all'interno del carcere e per averci ricordato che la funzione della detenzione non è mai punitiva; che un processo globale di reinserimento è in grado di incrementare la sicurezza. E che anche attraverso l'arte passa il riscatto dell'anima.

presentazione di Carla Artelli, coordinatrice Attività Culturali Biblioteca Universitaria di Genova, MIBACT 

lettura del Messaggio internazionale per la Giornata Mondiale del Teatro 2016 

interventi di:
Milò Bertolotto, ex Assessore alle carceri Provincia di Genova
Franca Fioravanti, regista pedagoga, Laboratorio "Il bello genera il bene" carcere di Chiavari, membro CNTiC - Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere
Marco Romei, autore teatrale, drammaturgo, Teatro delle Nuvole, membro CeNDIC - Centro Nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea
Carlo M. Marenco, poeta, rivista Il Babau.net

organizzatori:
Biblioteca Universitaria di Genova - MIBACT
Teatro delle Nuvole
CNTiC Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere
  

ELECTRONIC SUPERHIGHWAY - WHITECHAPEL GALLERY, LONDON




ELECTRONIC SUPERHIGHWAY
curated by Omar Kholeif with Emily Butler and Séamus McCormack
Whitechapel Gallery
77 – 82 Whitechapel High Street - London
29/1/2016 - 15/5/2016

In January 2016 the Whitechapel Gallery presents Electronic Superhighway (2016-1966) a landmark exhibition that brings together over 100 artworks to show the impact of computer and Internet technologies on artists from the mid-1960s to the present day.
It features new and rarely seen multimedia works, together with film, painting, sculpture, photography and drawing by over 70 artists, including works by Cory Arcangel, Roy Ascott, Jeremy Bailey, Judith Barry, James Bridle, Douglas Coupland, Constant Dullaart, Lynn Hershman Leeson, Vera Molnar, Albert Oehlen, Trevor Paglen, Nam June Paik, Jon Rafman, Hito Steyerl, Ryan Trecartin, Amalia Ulman and Ulla Wiggen.
The exhibition title Electronic Superhighway (2016-1966) is taken from a term coined in 1974 by South Korean video art pioneer Nam June Paik, who foresaw the potential of global connections through technology. Arranged in reverse chronological order, Electronic Superhighway (2016-1966) begins with works made between 2000 – 2016, and ends with Experiments in Art and Technology (E.A.T), an iconic, artistic moment that took place in 1966. Spanning 50 years, from 2016 to 1966, key moments in the history of art and the Internet emerge as the exhibition travels back in time.
As the exhibition illustrates, the Internet has provided material for different generations of artists. Oliver Laric’s painting series Versions (Missile Variations) (2010) reflects on issues surrounding digital image manipulation, production, authenticity and circulation. Further highlights include a series of photographs from conceptual artist Amalia Ulman’s four-month Instagram project Excellences & Perfections (2014-15), which examines the influence of social media on attitudes towards the female body. Miniature works by Celia Hempton painted live in chatrooms go on display alongside a large scale digital painting by Albert Oehlen and manipulated camera-less photography by Thomas Ruff. The dot-com boom, from the late 1990s to early millennium, is also examined through work from international artists and collectives.
Works by Nam June Paik in the exhibition include Internet Dream (1994), a video-wall of 52 monitors displaying electronically-processed images, and Good Morning, Mr. Orwell (1984). On New Year’s Day 1984 Paik broadcast live and pre-recorded material from artists including John Cage and The Thompson Twins from a series of satellite-linked television studios in New York, West Germany, South Korea and Paris’ Pompidou Centre to an estimated audience of 25 million viewers worldwide. Paik saw the event as a counter response to George Orwell’s dystopian vision of 1984.
The birth of the World Wide Web in 1989 provided a breeding ground for early user-based net art, with innovators such as Moscow-born Olia Lialina adopting the Internet as a medium, following earlier practices in performance and video. In My Boyfriend Came Back from the War (1996) the artist presents a love story enacted via an interactive black and white browser screen.
The emergence of net art is explored through a curated selection of interactive browser-based works from the Rhizome archive, a leading digital arts organisation founded online in 1996 by artist Mark Tribe, and affiliated with the New Museum in New York since 2003. In 1999, Rhizome created a collection of born-digital artworks which has grown to include over 2000 and in recent years, it has developed a preservation programme around this archive.
One of the first ever major interactive art installations, Lorna (1979-1982) by Lynn Hershman Leeson presents a fictional female character who stays indoors all day watching TV and anticipated virtual avatars.
A proliferation of experiments from the 1960s – 70s pushed the boundaries of technology. Artists such as Manfred Mohr, Vera Molnar, Frieder Nake and Stan VanDerBeek adopted computer programmes to create abstract and geometrical works while Roy Ascott, Allan Kaprow, Gary Hill and Nam June Paik used various new media to connect across multiple sites globally.
The exhibition concludes with artefacts from the formation of Experiments in Art and Technology (E.A.T) in New York in 1966 which saw performances over nine evenings from artists such as Robert Rauschenberg, John Cage and Yvonne Rainer working together with engineers from American engineering company Bell Laboratories in one of the first major collaborations between the industrial technology sector and the arts.

Image: Installation view of “Electronic Superhighway (2016 – 1966)” at the Whitechapel Gallery - Stephen White.


LA SFIDA DI ARACNE - NUOVA GALLERIA MORONE, MILANO




LA SFIDA DI ARACNE
a cura di Angela Madesani
Nuova Galleria Morone
Via Nerino 3 - Milano
31/3/2016 - 13/5/2016

Nuova Galleria Morone presenta La sfida di Aracne Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi, curata da Angela Madesani.
Da sempre, le donne sono state considerate le fedeli rappresentanti della Terra, nostra Madre Natura e origine feconda. Intuitivamente percepiamo questa analogia come vera, come qualcosa che incarna una realtà evidente e ci parla direttamente dell’Essenza del Femminile…
Un’esposizione complessa, che indaga i diversi linguaggi della contemporaneità artistica attraverso il lavoro di 18 artiste. La rassegna, che prende in esame oltre quarant’anni di storia dell’arte, non deve essere intesa come una collettiva con i lavori di sole donne, ma come una riflessione sul lavoro di artiste che hanno indagato approfonditamente il tema in oggetto.
Dai lavori di Body Art di Gina Pane a Louise Bourgeois, che ha fatto, nel corso degli anni, di questo tema il fulcro della sua ricerca. In mostra saranno i lavori di alcune delle più importanti protagoniste dell’arte internazionale quali Annette Messager, Rebecca Horn, Cindy Sherman, Shirin Neshat, Nan Goldin e Bruna Esposito, che ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999.
Una particolare attenzione sarà riservata a Maria Lai, una delle più intense artiste italiane della seconda parte del XX secolo, rappresentata dalla galleria, come pure Daniela Comani, che da oltre venticinque anni vive e lavora a Berlino e che si occupa di tematiche legate alla cultura di genere.
Sono presenti opere di artiste di diverse generazioni, che hanno posto la loro attenzione su questo tema da Fausta Squatriti, Mariella Bettineschi, Inés Fontenla e Meri Gorni alle più giovani Chiara Lecca, Chiharu Shiota, Julia Krahn e Silvia Celeste Calcagno, vincitrice del Premio Faenza nel 2015. Il progetto deve essere inteso come dialogo tra i vari linguaggi espressivi della contemporaneità.
Il titolo della mostra presenta un chiaro riferimento di natura mitologica, ad Aracne, abile tessitrice e ricamatrice che, conscia della sua bravura, ebbe l’ardire di sfidare la dea Atena in una pubblica gara. Un’ambiziosa e vittoriosa sfida, simile a quella proposta dalle artiste del mondo occidentale dal dopoguerra in poi, desiderose di conquistarsi un loro ruolo, ben al di là dei coercitivi limiti a loro attribuiti dalla società e dal mondo dell’arte sino a quel momento.

LISA IMMORDINO VREELAND: PEGGY GUGGENHEIM: ART ADDICT - FELTRINELLI REAL CINEMA 2016




LISA IMMORDINO VREELAND
PEGGY GUGGENHEIM: ART ADDICT
DVD con libro
Feltrinelli (31 marzo 2016)
Collana: Real cinema

"Peggy Guggenheim. Art Addict" è un documentario sulla vita dell'icona dell'arte Peggy Guggenheim diretto da Lisa Immordino Vreeland, già regista di "Diana Vreeland. L'imperatrice della moda". È basato sulla biografia di Peggy, ereditiera della famiglia Guggenheim che finì per diventare una figura centrale del movimento dell'arte moderna. Attraversando gli sconvolgimenti culturali del ventesimo secolo, collezionò non solo opere d'arte, ma anche artisti. La sua pittoresca storia personale include figure quali Samuel Beckett, Max Ernst, Jackson Pollock, Alexander Calder, Marcel Duchamp, così come innumerevoli altri. Nonostante le delusioni che caratterizzarono la sua vita privata, rimase sempre fedele alla propria visione e mise insieme una delle più importanti collezioni di arte moderna, ora gelosamente custodita nel suo palazzo veneziano. Il film è una sintesi della migliore arte del ventesimo secolo e della vita libertina e iconoclasta di una delle donne più potenti del mondo dell'arte.

RAFFAELE PE: SPAZI AURALI - POSTMEDIA BOOKS 2016





RAFFAELE PE
SPAZI AURALI
Architettura e Sound Design
Postmedia Books (22 febbraio 2016) 

Spazi Aurali riflette sulla necessaria origine musicale dell'atto di misurare e comporre in architettura, non soltanto in riferimento alla pratica metrica desunta dalla tradizione classica e in particolare dal principio pitagorico della consonanza, ma anche e soprattutto in riferimento all'attuale contesto tecnologico. Media locativi e strumenti di modellazione virtuale ci pongono di fronte all'esperienza di ciò che Marshall McLuhan nominava "Spazio Acustico", lo spazio della trasmissione orale delle informazioni, lo spazio non codificato dalla scrittura comune, che necessita con urgenza di ritornare musicale e di trovare una sua grafia per poter essere riconoscibile e interpretabile. L'agogica è indicata come disciplina del tempo spazio per definire un nuovo sistema determinativo della forma in rapporto alla mobilità dei suoi utenti. La nuova sensibilità ambientale, ottenuta dalle tecniche oggi disponibili, ci permette così di concepire l'architettura non solo come struttura durevole dell'abitare, ma anche come funzione di frequenza del tempo e dei sensi che ne caratterizzano il requisito di abitabilità. La trattazione è sostenuta e sviluppata dalla presenza, a fine libro, di una breve antologia atta a impostare un catalogo storico e geografico delle tecniche che ci permettono di rilanciare questo dibattito nella prospettiva contemporanea. 

Con saggi di: Anna Barbara, Ruggero Lorenzin, Emanuela Vai, Ida Recchia, Martino Traversa, Bianca Procino, Alberto Morelli, Stefano Scarani, Alessandro Musetta, Diego Fratelli.


ORAZIO DE FERRARI: LA FAVOLA DI LATONA, IL RITORNO DI UN CAPOLAVORO - PALAZZO BIANCO, GENOVA




ORAZIO DE FERRARI
LA FAVOLA DI LATONA
Il ritorno di un capolavoro
Palazzo Bianco
via Garibaldi 11 - Genova
22/3/2016 - 8/5/2016

Questa tela di grande impatto scenografico, oltre che dimensionale, è ricordata nel componimento poetico I Raguagli di Cirpo del ligure Luca Assarino, stampato nel 1642.
La descrizione del dipinto obbliga a ritenere che si tratti proprio del nostro quadro: "Una tela ove si vedeva Latona che, oltraggiata nell’acqua da alcuni villani, alzava gli occhi al cielo per domandar vendetta ed essi intanto rimaneano a poco a poco tramutati in rane. Era indicibile vedere con quale stupenda maestria havea la mano operatrice saputo esprimere gli affetti della Dea, e la confusione di quei malnati. Con quale industria in un solo individuo havea moltiplicato l’essenza di due differentissimi animali, e con qual ingegno, inserendo in un collo umano il capo d’una bestia, gli era riuscito il dinudar altrui un piede, e calzarlo colla zampa d’un mostro acquatile".
Sappiamo dunque per certo che l’opera fu eseguita entro il 1642 da Orazio De Ferrari, che la firma, suggerendo così che si trattava di una commissione importante. Ma quando fu dipinta? E per chi?
Il capolavoro, prima di pervenire a Giorgio Baratti, attuale proprietario, è acquistato nel 2005 dagli antiquari madrileni Jorge Coll e Nicolás Cortés presso i discendenti di Rodrigo Díaz de Vivar y Mendoza VII Duca dell’Infantado e pubblicato nel catalogo della mostra Maestros del Barroco Europeo, Madrid, Galleria Coll&Cortés, 2005 con una scheda curata dalla storica dell’arte genovese Elena De Laurentiis.
Le ricerche condotte sulla provenienza da Piero Boccardo, direttore dei Musei di Strada Nuova, permettono ragionevolmente di individuare la tela con quella che nel 1653 si trovava nella collezione del defunto Manuel Alonso de Fonseca Fuentes de Zúñiga Acevedo (ca. 1590-1653), conte di Fuentes e VI conte di Monterrey, nel cui inventario è descritto "un quadro grande de una fabula con una muger, dos ninos y un hombre conbertido en rrana", ovvero una favola con una donna, due bambini e un uomo trasformato in rana, senza un preciso riferimento attributivo, ma con la eccezionale stima di 2.750 reales.
Il conte di Monterrey, era stato ambasciatore straordinario a Roma nel 1621 e nel 1628, e poi Viceré di Napoli dal 1631 al 1637. A Genova soggiorna al momento del suo arrivo in Italia, probabilmente via mare, nel 1621, nuovamente nel 1628 e poi, alla fine della sua residenza a Napoli, nel febbraio 1638.
A lui e a questo anno si devono far risalire le circostanze di esecuzione del capolavoro qui esposto, riapparso dopo secoli nei meandri del collezionismo privato ed eccezionalmente esposto al pubblico nella città in cui fu dipinto.

(Anna Orlando)

martedì 29 marzo 2016

OLAFUR ELIASSON: NOTHINGNESS IS NOT NOTHING AT ALL - LONG MUSEUM, SHANGAI




OLAFUR ELIASSON
NOTHINGNESS IS NOT NOTHING AT ALL
Long Museum
Pudong District, No.210, Lane 2255, Luoshan Road - Shanghai
20/3/2016 - 19/6/2016

The Long Museum, Shanghai, is pleased to announce the first survey exhibition of the work of world-renowned Danish Icelandic artist Olafur Eliasson in a Chinese museum: Nothingness is not nothing at all. Opening to the public on March 20, 2016, the career-spanning exhibition brings together artworks from the artist’s vast oeuvre, which extends from the early 1990s to the present and includes installations, sculptures, paintings, drawings, and film. A number of new artworks were conceived especially for the Long Museum exhibition, including the large-scale, site-specific installation The open pyramid (2016). 

Ms. Wang Wei, co-founder and chief curator of Long Museum, says: 
“Olafur Eliasson is one of the most representative and influential artists working today, and I am highly impressed by the diversity of themes and great artistic tensions in his work. When Long Museum West Bund was still under construction, Eliasson spent a long time visiting the site, and this enthusiastic visit became the seed for the exhibition at Long Museum. I see Eliasson as an artist with the brain of a scientist. His works reflect on nature and also demonstrate a lively, interested engagement in daily experience; he possesses an astonishing ability to activate space. I also see Eliasson’s work as creating not merely single objects but rather overall experiences. His works invite visitors to enter his artistic world, and inspire their inner senses. I hope that bringing Eliasson’s artworks to the Long Museum will give a fresh life to the space, and allow the Chinese public to have an opportunity to see these world-renowned artworks locally, in Shanghai.” 

Olafur Eliasson says:
“I wanted to amplify the feeling of the cavernous museum galleries by installing artworks that invite visitors to look inwards, to question how their senses work, and dream up utopias for everyday life. Reality is what we make it to be—it is what we see, sense, think, feel, and do. It is also what things, artworks, spaces, and cities do to us. Art challenges our perspective on the world, turns it upside down, or suggests alternative views—I hope visitors to the exhibition will be inspired to undertake such enquiries. I see the questioning of what is as an opportunity. It makes that which we take for granted negotiable, open to change.” 

Through a diverse array of artworks, many of which suggest tools for experimental research, the exhibition invites visitors into a space of exploration that encourages their active engagement. The artworks were selected and arranged with particular attention to how they interact with the vaulted, austere concrete museum building designed by Atelier Deshaus. Inspired by the architecture’s combination of rectangular rooms and curved ceilings, Eliasson chose artworks for the exhibition that use basic geometrical principles such as circles, spheres, cubes, or pyramids. Pavilion-like structures create discrete stations within the building, and the capacious interior is divided into individual spaces through precisely curated constellations of artworks. 
Many of the works include elemental materials such as stone, ice, water, or light. Series of photographs and colour paintings reflect Eliasson’s approach to studying the phenomenon of colour perception and investigating the world. Optical devices, lenses, mirrors, and glass spheres emphasise the dynamism and subjectivity of visual perception, providing opportunities for visitors to consider their own participation in the construction of what they see. The works direct the viewers’ attention towards the space they inhabit as well as to the act of perceiving it, highlighting their active role in the discovery and co-creation of their surroundings and the world


MARÍA VERÓNICA LEÓN VEINTEMILLA: GOLD WATER. APOCALYPTIC BLACK MIRRORS II - MACRO, ROMA




From La Biennale di Venezia to MACRO
MARÍA VERÓNICA LEÓN VEINTEMILLA
GOLD WATER: APOCALYPTIC BLACK MIRRORS II
a cura di Paolo De Grandis, David Rosenberg, Claudio Crescentini
MACRO Museo d'Arte Contemporanea di Roma
Via Nizza 138 - Roma
30/3/2016 - 17/4/2016

From La Biennale di Venezia to MACRO. International Perspectives è il “viaggio” di significative mostre d’arte internazionali, che hanno debuttato alla Biennale Arte, verso l’esperienza museale capitolina, dove vivranno nuove atmosfere e curiosità. L’innovazione sta quindi nel percorso che le opere effettueranno da una città all’altra e da uno spazio all’altro, arricchendosi di significati, nutrendosi di un nuovo pubblico, modificandosi nel nuovo allestimento creato appositamente per il MACRO dai vari artisti internazionali invitati a partecipare.
Il progetto è inaugurato dalla mostra Gold Water: Apocalyptic Black Mirrors II di María Verónica León Veintemilla, curata da David Rosenberg, artista fra le più interessanti dell’attuale scena artistica internazionale, recentemente premiata in Ecuador come “Donna dell’Anno” (sezioni delle Arti e della Cultura). María Verónica León Veintemilla rilegge al MACRO quella esplorazione concettuale della sua arte tenutasi appunto alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte nel 2015 presso il Padiglione dell’Ecuador, presente per la prima volta alla Biennale di Venezia.
Con il lavoro Gold Water: Apocalyptic Black Mirrors II l’artista porterà nella MACRO Hall due grandi container contenenti fotografie e installazioni di video arte. L’opera si ispira a due delle primarie fonti naturali di salute e due degli elementi fondamentali per la vita dell’uomo e dell’economia globale: acqua e oro. Strappati dal loro contesto originale, vengono riesaminati criticamente attraverso la storia, la società, l’economia e la cultura in relazione ai valori economici globali. Entrambi gli elementi, chiave del futuro dell’umanità, sono sostentamento di vita, fisicamente ed economicamente, eppure esiste un paradosso: per estrarre l’oro spesso le fonti di acqua vengono distrutte. Nel progetto artistico e concettuale di María Verónica León Veintemilla, la convergenza di Arte e Scienza plasma un amalgama, il mito profetico di una futura distopia causata dall’annientamento della natura da parte dell’uomo e dalla sua cieca obbedienza al consumismo.
Per illustrare la vitalità e l’energia dell’acqua, i suoi movimenti e i suoi cambiamenti da uno stato all’altro, l’artista predilige la tecnica della video arte, creando personalmente l’opera digitale, girando i video, editandoli, dipingendo e disegnando caratteri e simboli, scrivendo il testo e curando il suono. «La selezione dei video diviene una tecnica ideale, poiché le immagini in movimento mi permettono di mostrare in serie tutte le fasi similari delle “apocalissi” che culture differenti stanno vivendo simultaneamente in dimensioni parallele; una tecnica che mi porta ad astrarre al massimo l’industria high-tech che irrompe nello spirito dell’acqua e nell’anima degli esseri umani» afferma l’artista.
Le installazioni video-audio di María Verónica León Veintemilla accostano tecniche differenti come disegno, oggetti, fotografia, video e suono, tecniche interconnesse ed esposte in un “tecno-teatro” dove l’elemento acqua rivela un nuovo stato mentale come fonte di vita.
Vari video trasformano lo scenario di uno stabilimento di imbottigliamento: un mix di ritmi su uno sfondo metallico dà vita a stelle che si schiudono e si trasformano come nuove tecno-galassie. Partendo dalla meccanizzazione di questo paesaggio, l’opera presenta una coreografia industriale in cui gli addetti all’imbottigliamento dell’acqua per il successivo smercio volteggiano, assecondando i suoni con passi e movimenti robotici sincronizzati, ripetuti all’infinito. Questo impressionante concerto metallico ha dato all’artista le prime note per creare nuovi codici per le sue “tecno-costellazioni” o “visioni metalliche” e imporre l’ultimo orientamento della domanda di mercato che racchiude la virtù naturale incontaminata dell’acqua. La natura può essere difesa e il lavoro di María Verónica León Veintemilla difende con forza gli ecosistemi in pericolo attraverso la sua cosmologia artistica.
L’oro, altro simbolo capitalista, oggetto di desiderio, indice economico, si trasformerà in una promessa di bellezza attraverso un nesso rivoluzionario di creatività. Dopo un viaggio trascendentale nelle pratiche orafe ancestrali ecuadoriane, che utilizzavano tecniche speciali come la martellatura e il rilievo per elaborare figure inconsuete e maschere d’oro con fisionomie originali, come le bizzarre creature extraterrestri al confine con lo spazio, l’artista inserisce il talento genuino delle culture precolombiane all’interno di una struttura ultramoderna per catapultare nuove idee e opere derivanti da questo processo in futuri contesti culturali e nel paesaggio artistico internazionale d’avanguardia. Per prefigurare una nuova collezione d’oro nella scena artistica contemporanea, l’artista ricicla queste pratiche lavorando con l’“oro virtuale” o artificiale (acrilici, oli, foglia d’oro, spray dorati, ecc.), che ci dà l’illusione di poter facilmente accedere a questo metallo, ma, in realtà, ne simula solo l’aspetto, la luce e i potenti riflessi.
Si potrà vedere ed ascoltare un nuovo rituale con oro virtuale in una speciale performance: l’artista entra in comunicazione animistica con gli antenati ed entra in trance; le mani compiono movimenti circolari in un vaso di oro virtuale (acrilico in questo caso); la sua voce e le sue espressioni danno vita ad un linguaggio cosmico senza parole – una sorta di lingua di Babele –, un linguaggio cantato universale e spirituale nel quale gli antenati ci trasmettono messaggi trascendentali e antichi codici per un futuro più sano. Ispirata a parole come “divinità”, “coscienza”, “riflessione”, “prevenzione”, “purezza” e “splendore”, l’artista crea suoni che evidenziano l’aura della saggezza degli antenati e l’antica cosmogonia, entrando in un campo rappresentativo della luce dell’oro con l’idea di depurare la nostra coscienza e il nostro stile di vita per un futuro migliore. María Verónica León Veintemilla trasferisce alle sue maschere virtuali le espressioni dei nostri tempi: disperazione, stress estremo, tristezza, follia ed esaurimento, l’“ansia globale”. In altre maschere ha registrato le espressioni di sofferenza, danno e sfruttamento di molti minatori. Altre maschere ancora potrebbero essere viste come speciali creature extraterrestri che comunicano nello spazio profondo. Grazie a questo nuovo progetto che include caratteristiche innovative e “riciclaggio virtuale”, l’immagine dell’oro vive un’inusuale trasformazione assumendo nuove connotazioni e rivelando nuove applicazioni estetiche per il mercato dell’arte e l’oreficeria.
Come afferma David Rosenberg: «L’artista crea un’architettura rudimentale e temporanea all’interno dell’architettura del museo, installando un container industriale, una sorta di utero o un athanor (il forno dell’alchimista), aprendo e definendo il suo territorio. Visivamente, le varie opere esposte al MACRO oscillano tra geometria caleidoscopica e ipnotica ed espressivi autoritratti sovradimensionati. Materie primarie, natura e corpo dell’artista si trasformano in vettori di espressione artistica: c’è un processo integrante dove concetti, pensieri ed emozioni si fondono e risuonano in vari modi, raggiungendo un punto di incandescenza dove un nuovo stato della mente viene creato, rigenerato e purificato».

L'ACADÉMIE DE FRANCE À ROME - PRESSES UNIVERSITAIRES DE RENNES 2016




L'ACADÉMIE DE FRANCE À ROME
Le palais Mancini : un foyer artistique dans l’Europe des Lumières (1725-1792)
sous la direction de Marc Bayard, Emilie Beck Saiello, Aude Gobet
Presse Universitaires de Rennes (24 mars 2016)
Collection : Art & Société

Palais et institution, cadre de l'événement et de la permanence, lieu où se matérialisent à la fois une doctrine et des pratiques, le Palazzo Mancini, siège de l'Académie de France à Rome de 1725 à 1804, est aussi un endroit extrêmement perméable : lieu de passage, d'échanges, de sociabilité, ouvert sur Rome, Paris et l'Europe. Cet ouvrage a pour objet d'étudier le palais et l'institution qu'il abrite, son fonctionnement, ses acteurs, ses pratiques. Ces dernières sont évaluées non seulement pour l'activité des artistes - pensionnaires et indépendants - au sein de l'Académie (travail et visites d'atelier, voyages d'étude...), mais aussi dans leurs relations avec la ville de Rome (institutions, cercles, botteghe d'une part, manifestations éphémères et récurrentes telles que fêtes et expositions de l'autre), et avec les milieux étrangers de la Ville (institutions et communautés étrangères). Enfin, elles envisagent la question du marché et du devenir des oeuvres, à travers la collaboration des artistes avec le foyer artistique romain, les relations avec les voyageurs du Grand Tour et leurs agents, et la diffusion des oeuvres en France et à l'étranger (expositions publiques, acquisitions de l'Etat et constitution de collections privées).

PAULINE GALLI-ANDREANI: MALLARMÉ, VALÉRY ET CLAUDEL TRADUCTEURS - PRESSES UNIVERSITAIRES VINCENNES 2016




PAULINE GALLI-ANDREANI
MALLARMÉ, VALÉRY ET CLAUDEL TRADUCTEURS
Presses Universitaires Vincennes (24 mars 2016)
Collection : L'imaginaire du texte

Nombreux sont les poètes qui, comme Stéphane Mallarmé, Paul Valéry et Paul Claudel à l'aube de la modernité, se sont prêtés au jeu de la traduction. Cet ouvrage s'intéresse à leurs travaux de traducteurs, dont il fait apparaître l'importance théorique et les liens essentiels avec la pensée et l'invention poétique de ces écrivains.
Toute traduction implique en effet la mise en œuvre d'une poétique. La dévoiler, comme le fait ici Pauline Galli-Andreani, c'est proposer une réflexion qui dépasse les trois auteurs en question pour décrire un moment particulièrement intense de la pensée du langage et de la poésie moderne.

Pauline Galli-Andreani, professeur agrégée de lettres, a soutenu sa thèse de doctorat en littérature française, «Au défaut des langues: poésie et traduction chez Stéphane Mallarmé, Paul Valéry et Paul Claudel», en 2012 à l'université Paris 8. Elle a publié plusieurs articles sur la poésie moderne.
  

TUTTOCROSA #3: MINIATURE (ANNI DIECI) - ENTR'ACTE, GENOVA




TUTTOCROSA
#3 – MINIATURE
(anni dieci)
Entr'acte
via sant'Agnese 19R – Genova
30/3/3026 - 13/4/2016

Entr'acte inaugura il 30 marzo tuttocrosa 3-miniature, terza ed ultima mostra di una serie mediante la quale vengono ripercorsi gli aspetti salienti della vicenda artistica di Andrea Crosa, artista attivo a Genova dalla seconda metà degli anni Settanta, con significative proiezioni in ambito nazionale ed internazionale, legate anche alla partecipazione alle attività espositive del gruppo dei Nuovi Futuristi.
Dopo il primo episodio, incentrato sui lavori di ascendenza pop che ne hanno segnato gli esordi, ed il secondo, dedicato agli anni Ottanta, vanno in scena i lavori degli anni più recenti.
“Nel suo eterno quotidiano “sospeso” Crosa ritrae il mondo in una dimensione prospettica in cui il dato geometrico si trasforma in una metafisica del sogno. Le sue costruzioni, rappresentate da moduli che si aggregano spontaneamente, vibrano attraverso la cristallizzazione e al tempo stesso la dinamicità di un colore denso ed inequivocabile e rilasciano piccole forme giocose da cui emerge la totale assenza dell’uomo.
Tanto che, nella organizzazione minuziosa e perfetta di un mondo rimpicciolito che si monumentalizza, Crosa fa prevalere la tensione di linee che pervadono lo spazio e circoscrivono forme cariche di attesa.
Staccando pezzi di realtà, crea modelli che si identificano con il suo senso microrealistico di spazio e tempo in cui solo lo spettatore può intervenire per rompere l’incantesimo riconducendo queste icone a ricordi del vissuto, che si spingono con forza verso un futuro che vuole certezze”. (Dalla presentazione della mostra Andrea Crosa – Battista Luraschi, a cura di Renato Barilli, Galleria Arrivada, Coira 2011).

lunedì 28 marzo 2016

THE PROMISE OF TOTAL AUTOMATION - KUNSTHALLE WIEN MUSEUMQUARTIER




THE PROMISE OF TOTAL AUTOMATION
Curator: Anne Faucheret
Kunsthalle Wien Museumsquartier
Museumsplatz 1 - Vienna
11/3/2016 - 29/5/2016

Artists: Athanasios Argianas, Zbyněk Baladrán, Thomas Bayrle, James Benning, Bureau d’études, Steven Claydon, Tyler Coburn, Philippe Decrauzat & Alan Licht, Harry Dodge, Juan Downey, Cécile B. Evans, Judith Fegerl, Melanie Gilligan, Peter Halley, Channa Horwitz, Geumhyung Jeong, David Jourdan, Barbara Kapusta, Konrad Klapheck, Běla Kolářová, Nick Laessing, Mark Leckey, Tobias Madison & Emanuel Rossetti, Benoît Maire, Mark Manders, Daria Martin, Shawn Maximo, Régis Mayot, Wesley Meuris, Gerald Nestler, Henrik Olesen, Julien Prévieux, Magali Reus

How did the technical system in which we live become what it is? Does an increasing level of automation create an obstacle for the free individuation of the subject, to humanity’s political and emotional agency? What about a subject no longer in need of labour, no longer in need of responsibility and self-reflexivity, living in an over-monitored loving environment?
The Promise of Total Automation looks at the fascination towards automation. The allure of an automated life not only sustains the production, communication and control of finance capitalism, but also feeds alternative dreams and utopias that plead for an ecological relation between human, technology and nature. Based on divergent theories, faiths and visions, the artists invited develop their own take on the topic.
Have objects, originally designed to satisfy our desires, by now enslaved us—or will they enslave us in the end? Or: Do they simply open new ways of thinking, creating and configuring things culturally, politically and socially that we have yet to explore? Will the faith in “things” and technical objects constitute an authentic and emancipative rupture with the anthropocentric and capitalist tradition, or will it only reinforce this for the sake of capital, and the few; for the sake of the data-colonisation of mind and space?
The artists in the show adopt the notion of a post-human community, consisting of interdependent objects, technologies and beings, as the point of departure for their investigations about desire, affect and imagination, about aesthetics, ethics, knowledge transmission and political responsibility. Production machines, technical objects, images and artworks populate the space, coming from the archaeology of the digital age as well as from fantasies of a technological future.
The “promise of total automation” was the battle cry of Fordism, the techno-medial apparatus its weapon. However, automation cannot be reduced to an economic-productive process: it is also a social-cultural one. Critiquing it for the rationalisation of minds and bodies, the exhibition envisions the prospect of automation as an agent of new forms of subjectivities, which nourish radical imagination and challenge a new political ecology of things.

Image: Mark Manders, Finished Sentence (August 2010), 2010. Courtesy Tanya Bonakdar Gallery, New York and Zeno X Gallery, Antwerp. Photo: Brian Forrest.

GIUSEPPE PENONE: ANAFORA - REGGIA DI VENARIA




GIUSEPPE PENONE
ANAFORA
a cura di Carolyn Christov-Bakargiev
Reggia di Venaria
Piazza Della Repubblica 4 - Venaria
24/3/2016 - 31/12/ 2016

L’artista Giuseppe Penone ritorna dopo quasi dieci anni alla Reggia di Venaria.
Nell’ambito di una continuità di “dialogo” e “sintonia” con le altre sue imponenti installazioni già presenti ne Il Giardino delle Sculture Fluide allestito nel 2007 quale prima collaborazione tra il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e la Reggia di Venaria, l’artista ha posto una nuova serie di sette opere più piccole nelle adiacenti e da poco restaurate Grotte del muro castellamontiano nel Parco basso.
Nella storia del complesso della Reggia di Venaria il Parco basso rappresentava, nella poetica del giardino seicentesco, lo spazio più elaborato: ricco di fontane, apparati scultorei, aiuole composte secondo elaborati disegni e caratterizzato dalla presenza della struttura muraria di contenimento della Corte d’onore, impreziosito da grotte e nicchie in esso contenute.
Nel corso del 2015 sono stati completati gli interventi di restauro del paramento murario e di sistemazione dell’area antistante rendendo così completamente fruibili gli spazi delle sette Grotte del Parco basso. Le grotte, un tempo, decorate con conchiglie ed elementi lapidei e allestite con vasche d’acqua e statue, sono diventate il luogo in cui ambientare un percorso espositivo affidato a Giuseppe Penone.
Mostra a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, in collaborazione con Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea

Giuseppe Penone (1947, Garessio), vive e lavora a Torino e Parigi)

JAN SCHOONHOVEN - NAI010 PUBLISHERS 2016




JAN SCHOONHOVEN
edited by Antoon Melissen
NAi010 Publishers (March 22, 2016)

Over the course of nearly 40 years, Dutch artist Jan Schoonhoven (1914-94) produced works on paper and sculptural reliefs, while maintaining his job as a civil servant employed by the Dutch Post Office. This new monograph places the artist, one of the most important Dutch artists of the 20th century, in an international context, arguing for his role as an influential player in European art after the Second World War. From his central position in the Netherlandish Informal Group, associated with Art Informel, to his later involvement with the Dutch Nul group, part of the international ZERO network, Schoonhoven participated in two of the most important currents of postwar European abstraction from his hometown of Delft. This volume features many hitherto unknown works and photographs, and sheds new light on the work of the "master of white." 

HANNE DARBOVEN: KORRESPONDENZ - WALTHER KONIG 2016




HANNE DARBOVEN 
KORRESPONDENZ
Letters 1967-1975
Walther König, Köln (March 22, 2016)

Korrespondez, a box set of elaborate facsimiles, makes the correspondence of German conceptual artist Hanne Darboven (1941-2009) available to the public for the very first time. The box contains a collection of letters both received and sent by the artist. Among the correspondents are Carl Andre, Roy Colmer, Isi Fiszman, Sol LeWitt, Lawrence Weiner and members of the artist's family; other artist colleagues (John Baldessari, Daniel Buren, Gilbert & George, Richard Lindner, Reiner Ruthenbeck, Ruth Vollmer); collectors (Peter Ludwig, Giuseppe Panza di Biumo, Karl Ströher, Mia and Martin Visser); curators (Johannes Cladders, Douglas Crimp, Klaus Honnef, Kasper König, Lucy Lippard, Franz Meyer, Diane Waldman); and gallery owners (Leo Castelli, Konrad Fischer). A limited edition of only 200 numbered copies, this special publication reveals an artist, collector and composer who also had a great talent for writing. 

GIOACCHINO ASSERETO: I MISTERI DEL ROSARIO - MUSEO DIOCESANO, GENOVA




GIOACCHINO ASSERETO
I MISTERI DEL ROSARIO
Museo Diocesano di Genova
via Tommaso Reggio 20R - Genova
dal 3/3/2016

Prima del loro definitivo ritorno nella chiesa di Sant’Ilario, saranno esposte presso il Museo Diocesano tredici piccole tele di Gioacchino Assereto dedicate ai Misteri del Rosario.
Attribuite dalle recenti ricerche di Tiziana Zennaro alla fase giovanile dell’attività di Gioacchino Assereto, queste preziose raffigurazioni erano collocate nella cappella del Rosario della chiesa.
Dallo spoglio dei documenti di archivio, si apprende che nell’aprile del 1625 furono commissionati alcuni lavori per l’altare del Rosario; allo stesso periodo si riferisce anche la registrazione del pagamento ad un pittore per la realizzazione della pala d’altare. L’opera doveva comprendere una scena centrale, in cui poteva essere raffigurata l’immagine della Vergine e del Bambino che porgono il rosario a santi o devoti inginocchiati ai piedi del trono, corredata dai Misteri del Rosario.
In seguito, i Misteri furono ritagliati dal dipinto e applicati su singole tavole sagomate per essere adattati e inseriti all’interno delle cornici del nuovo altare settecentesco.
A questa prima manomissione potrebbe risalire la sostituzione della Crocifissione di Assereto con un’immagine realizzata da un modesto pittore; infine, durante un furto avvenuto negli anni Ottanta del XX secolo, andò perduto l’episodio rappresentante la Flagellazione. In seguito a questi avvenimenti, il ciclo neotestamentario non fu più esposto al pubblico per timore che altre piccole tele venissero sottratte.
Si trovavano pertanto in una situazione molto compromessa dal punto di vista conservativo quando è stato avviato il loro recupero tramite un intervento effettuato dal Laboratorio di restauro della Regione Liguria con la direzione di Gianluca Zanelli (Polo Museale della Liguria).
Grazie alla collaborazione dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi, e al fondamentale sostegno dell’amministratore parrocchiale, don Silvio Grilli, si è potuto procedere con la presentazione di questo restauro e la predisposizione di un progetto di reinserimento del ciclo all’interno della cappella, protetto da un adeguato sistema di sicurezza.
Le tele, restaurate, saranno esposte presso il Museo Diocesano di Genova fino al momento della loro ricollocazione in chiesa.

REINHARD MUCHA - KUNSTMUSEUM BASEL




REINHARD MUCHA
Curator: Søren Grammel
Kunstmuseum Basel | Gegenwart
St. Alban-Rheinweg 60 - Basel
19/3/2016 16/10/2016

Since the 1980s, numerous widely acclaimed exhibitions have introduced international audiences to the work of the Düsseldorf-born artist Reinhard Mucha. In 1990, Mucha (in collaboration with Bernd and Hilla Becher) designed the German pavilion at the 44th Venice Biennale; in 1992 and 1997, his art was featured at documenta in Kassel. He is now regarded as a leading artist of his generation.
Art lovers in Basel have known about Mucha since 1987, when his show Nordausgang was on view at the Kunsthalle. Almost three decades later, the Kunstmuseum Basel now dedicates an exhibition to the artist that focuses on the Frankfurter Block, an expansive ensemble of works completed in 2014.
Much of it was previously on view in Schaffnerlos—Werke ohne Arbeiten 1981–2012, a show at Galerie Grässlin, Frankfurt, in 2012. Two years later, Mucha, adding several interior architecture details that had been characteristic of the presentation of the Block Beuys (an ensemble that was temporarily put in storage) at the Hessisches Landesmuseum, Darmstadt, conceived an exhibition of his pieces at Galerie Sprüth Magers, Berlin, where he installed an environment that faithfully recreated the dimensions and proportions of Galerie Grässlin’s main showroom.
Mucha’s meticulously constructed sculptures—he often works with industrial materials such as aluminum, float glass, felt, gloss paint, steel, or blockboard—look variously like showcases and display cabinets or like baroque theatrical installations. Some of his works also incorporate museum-worthy or archival furniture or tools.
Mucha does not have a signature style in the traditional sense; rich in sometimes playful detail, his pieces nonetheless exude the austere charm of industrial manufacture, perhaps an echo of the artist’s early study of the technical aesthetic of minimalist sculpture. Its influence is evident in his work, but he rejects its rule-based purism. Mucha’s rigorously structured wall pieces, for example, mix purpose-built with found and used elements saturated with history: implements from his workshop, museum objects, or household items like stepladders, bases, footrests.
He moreover integrates biographical material such as a copy of his diploma from the Düsseldorf Academy of Fine Arts or a photograph that shows him as a student. Yet his purpose with such inclusions is not the personal anecdote; rather, they raise questions concerning the category of the collective—for example, to what extent social structures and the hierarchies woven into them inform our personalities.
As a modern individual, the artist is keenly aware of the normative interpellations he—like all of us—is permanently exposed to as a “citizen” or “consumer,” and on occasion he strikes back with subversive humor. For example, he once completed hundreds of coupons requesting free promotional materials (a staple of the 1980s that has gone out of style), dutifully filling in his address, but then left the envelopes he received unopened, stacking them up in a glass case as part of a sculptural installation. More generally, Mucha frequently intertwines questions of art history with contemporary issues, as the richly allusive titles of his pieces suggest. His unique oeuvre appropriates and reflects the canon of art world authorities and the norms framed by the institutions of society.

Image: Reinhard Mucha, Frankfurter Block, 2012. Installation view, 2014. Photo: Kunstmuseum Basel, Gina Folly.

SGUARDI PARALLELI: MARIO BALOCCO, FRANÇOIS MORELLET - FONDAZIONE RAGGHIANTI, LUCCA




SGUARDI PARALLELI
MARIO BALOCCO, FRANÇOIS MORELLET
a cura di Paolo Bolpagni
Complesso Monumentale di San Micheletto
Via San Micheletto 3 - Lucca
24/3/2016 - 26/6/2016

La nuova mostra promossa dalla Fondazione Ragghianti, a cura di Paolo Bolpagni, ha due protagonisti: il francese François Morellet (Cholet, 1926), uno dei più grandi e celebrati artisti viventi, tra i maestri indiscussi del contemporaneo, e Mario Ballocco (Milano, 1913-2008), pittore e teorico di enorme talento e genio pionieristico, di cui è in atto da alcuni anni la riscoperta.
Dedicare una mostra, una doppia personale, a Morellet e a Ballocco costituisce il primo tentativo, mai compiuto finora, di accostare i percorsi di due artisti che non si conobbero, ma, soprattutto in alcune fasi delle rispettive carriere, imboccarono “parallelamente” strade analoghe e molto anticipatrici.
I due furono, uno in Francia e l’altro in Italia, precursori, già all’inizio degli anni Cinquanta, di molti aspetti dell’arte cinetica e programmata (e in certa misura anche della Optical Art), che sarebbe esplosa come tendenza generale nel decennio successivo.
L’attenzione alle questioni percettive, alla visione e al movimento, al problema della forma e del colore, all’interdisciplinarietà e al rapporto con il design sono elementi che ritroviamo pre-cocemente sia in Ballocco, sia in Morellet. Persino alcuni fattori costituitivi del loro lessico artistico mostrano somiglianze insospettabili: basti confrontare le “trame” del francese con i “reticoli” dell’italiano.
I parallelismi, insomma, sono numerosi e calzanti, a tratti sorprendenti, soprattutto fino ai primi anni Sessanta, quando Morellet, allora esponente del GRAV (il parigino “Group de Recherche d’Art Visuel”), comincerà a sperimentare l’utilizzo del neon e della multimedialità, mentre Ballocco – fermo restando il suo lavoro pittorico – imboccherà la strada del teorico e dell’esperto di problemi cromatologici, anche nell’ambito applicativo e degli studi sul design.
Seguire i loro sviluppi a partire dalla metà degli anni Quaranta consente di misurare il progressivo approdo dei due artisti all’astrattismo. Il 1950 è un anno di svolta per entrambi: Ballocco fonda il Gruppo Origine insieme con Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla, mentre Morellet, abbandonata ogni traccia informale, “conquista” la geometria, iniziando a realizzare dipinti scanditi in precisi ritmi visivi.
Nel 1952 si affaccia in ambedue gli artisti la questione della modularità: le “grate” e i “reticoli” di Ballocco si trasformano in griglie e sequenze di rettangoli; Morellet, da parte sua, costruisce le proprie opere sul quadrato e sul triangolo. Già nella seconda metà degli anni Cinquanta la loro produzione è ormai improntata a una ricerca intorno alla forma e al colore: al centro dell’attenzione è lo studio dei meccanismi della visione e dei fenomeni ottici. Il linguaggio impiegato da entrambi è astratto, ma si pone al di là degli stili delle precedenti avanguardie: l’intento è di superare la nozione tradizionale di arte come “espressione” per puntare al coinvolgimento dello spettatore non sul piano emozionale, bensì percettivo e psicologico.
Dopo una fase di maggiore distanza (soprattutto fra il 1963 e il 1968), è interessante notare che, verso la fine degli anni Settanta, i percorsi di Ballocco e di Morellet si incontreranno di nuovo – sempre “a distanza” – nel privilegiare l’utilizzo del bianco e nero, e quindi un progressivo abbandono del colore.
Sono esposte nelle sale della Fondazione Ragghianti circa settanta opere, molte delle quali inedite in Italia (e anche inedite in senso assoluto), che documentano la carriera artistica di Mario Ballocco e di François Morellet dal 1945 agli anni Ottanta. Le sale mostrano il parallelo sviluppo delle loro ricerche, correndo su un duplice binario che consente di istituire confronti e di misurare somiglianze e differenze. Ci sono anche dipinti di Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi ed Ettore Colla (“compagni di strada” di Ballocco nell’avventura del Gruppo Origine), e inoltre documenti originali, fotografie, un video e cataloghi e riviste d’epoca. Da segnalare, poi, la presenza in mostra dei primi neon di François Morellet, risalenti agli anni Sessanta, straordinariamente concessi in prestito per l’occasione nonostante la loro rarità e fragilità.

Il catalogo, delle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’Arte, è firmato dal curatore della mostra Paolo Bolpagni e contiene anche un saggio del filosofo Massimo Donà, un testo scritto da Morellet nel 1971 e qui tradotto per la prima volta in italiano, le schede scientifiche delle opere esposte e apparati biobibliografici.

La mostra è realizzata in collaborazione con l’Associazione Archivio Mario Ballocco di Milano e lo Studio Morellet di Cholet, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e il patrocinio della Città di Lucca.

FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI: STORIA DEGLI ARCHIVI, STORIA DELLA CULTURA - MARSILIO 2016




FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI
STORIA DEGLI ARCHIVI, STORIA DELLA CULTURA
Suggestioni veneziane
Marsilio (17 marzo 2016)
Collana: Saggi

Fonti privilegiate per la ricostruzione di molteplici "storie", anche gli archivi hanno una loro propria storia. Che non si discosta, nella maggioranza dei casi, da quella di chi le carte ha prodotto o ricevuto: manifestando sovente, attraverso non casuali strategie di sedimentazione e configurazione della propria memoria scritta, progetti di intenzionale autorappresentazione e identità. Altrettanto se non maggiormente significativa è la storia di quegli archivi che vicende più o meno traumatiche hanno portato ad abbandoni e dispersioni, divisioni e accorpamenti, spostamenti incongrui, riordinamenti plurimi, viaggi anche lontani. Una decina di saggi, redatti nel corso di un ventennio di lavoro negli archivi veneziani, ripropongono in questa raccolta un itinerario attraverso alcuni casi significativi di storia degli archivi: pubblici, notarili, privati, ecclesiastici. Dietro alle nostre fonti e alle storie che esse narrano, dietro alla "messa in forma della memoria" che le ha forgiate e al "rumore" diffuso che da esse emana, non è difficile scorgere il variabile spirito del tempo, i suoi presupposti filosofici, giuridici, sociali, di costume. Dai riflessi squisitamente culturali infine alcune tappe del vivace dibattito e delle realizzazioni archivistiche susseguenti all'unità nazionale, con il ridefinirsi di nuove appartenenze amministrative anche per archivi e biblioteche e di ripetute aspettative da parte del mondo degli studi e degli editori di fonti. 

ISTITUTI DI ASSISTENZA, BIBLIOTECHE E ARCHIVI: UN TRINOMIO CARATTERISTICO - VITA E PENSIERO 2016




ISTITUTI DI ASSISTENZA, BIBLIOTECHE E ARCHIVI: UN TRINOMIO CARATTERISTICO
Conservare e promuovere
a cura di Cristina Cenedella
Vita e Pensiero (14 gennaio 2016)
Collana: Università/Ricerche/Storia 

Gli Istituti assistenziali, in particolare gli enti dedicati al ricovero dei minori, e le loro biblioteche rappresentano un tema particolare e molto settoriale, che sino ad ora ha visto un interesse circoscritto e non molto indagato, al contrario delle esplorazioni condotte sulla letteratura scolastica, la funzione pedagogica della letteratura e le biblioteche degli istituti di istruzione. Spesso le biblioteche degli enti di assistenza sono state oggetto di dispersione e di scarsa attenzione conservativa, per la semplice ragione legata all'invecchiamento 'veloce' delle edizioni custodite; a volte, oggetto di 'epurazione' insieme alle biblioteche, furono anche quelle parti degli archivi più strettamente legate alle funzioni educative, facendo perdere così allo studioso le tracce del legame tra le scelte pedagogiche attuate e la letteratura per l'infanzia proposta. Il volume raccoglie gli interventi di una giornata di studio, focalizzando l'attenzione su talune biblioteche conservatesi, da quella dell'orfanotrofio milanese dei Martinitt, a quella degli istituti dell'Annunziata di Napoli. In particolare si è inteso mettere in luce le diversificate potenzialità di ricerca insite in questo particolare bene culturale, la biblioteca, in stretto e inscindibile legame con gli archivi, i cui documenti ne possono narrare la storia.  

MANFREDI SACCANI: INTERPRETAZIONI GEOMETRICHE - CASTELLO DI NERVI




MANFREDI SACCANI
INTERPRETAZIONI GEOMETRICHE
Castello di Nervi
passeggiata Anita Garibaldi - Genova Nervi
26/3/2016 - 7/4/2016

Dopo un restyling delle sale a opera della Fondazione Lorenzo Garaventa, ripartono gli appuntamenti con le mostre al Castello di Nervi in Passeggiata Anita Garibaldi. Sabato 26 marzo alle 16:00 inaugurazione della mostra personale "Interpretazioni geometriche" del pittore Manfredi Saccani: autodidatta con all'attivo numerose personali e collettive in importanti spazi pubblici, ha avviato il proprio interesse al linguaggio pittorico con specifica attenzione all'astrattismo geometrico.
La Fondazione Garaventa insieme al Municipio Levante hanno l'obiettivo di valorizzare il Castello e il territorio circostante. La Fondazione inoltre, in accordo con l'Area Tecnica del Municipio che fornisce di volta in volta i materiali, svolge attività manutentive e tecniche in regime di volontariato per la valorizzazione e il recupero del territorio.

domenica 27 marzo 2016

ARMAN: ACCUMULATIONS 1960-64 - GALERIE DANIEL TEMPLON, PARIS




ARMAN
ACCUMULATIONS 1960-64
Galerie Daniel Templon
30, rue Beaubourg - Paris
27/2/2016 - 6/4/2016

La Galerie Daniel Templon consacre une exposition à l’artiste français Arman, avec lequel elle a entretenu une longue collaboration, de 1974 à sa disparition en 2005. Consacrée aux Accumulations, une des séries les plus célèbres du chef de file du Nouveau Réalisme, cette présentation réunit une quarantaine de sculptures historiques de 1960-1964. A l’occasion de l’exposition, la galerie publie un catalogue préfacé par Nicolas Bourriaud.
En se proposant de constituer une « archéologie du présent », Arman a mis en place un langage plastique qui a profondément influencé l’art contemporain : les Accumulations posent dès 1959 le principe de la sérialisation. Comme l’écrit Nicolas Bourriaud, plus que l’appropriation de l’objet, c’est la ‘catastrophe de la quantité’ et la ‘tragédie du plein’ qu’évoque ce geste fondateur.
Conçus comme de véritables tableaux, la force picturale de ces œuvres résulte du choix des objets, de leurs couleurs et de la variété des matières. Les Accumulations traitent de la perte d’identité de l’individu et de la neutralisation des échanges humains par la société de consommation, de la violence de l’abondance, de l’esthétique du déchet, comme autant de ‘prémonitions’ de notre paysage post-industriel (N.Bourriaud). Ce travail de pionnier évoque le travail de son contemporain Andy Warhol, tout en annonçant le travail de nombreux artistes comme, entre autres, Damien Hirst, Thomas Hirschhorn El Anatsui ou Subodh Gupta.

Né à Nice en 1928, Arman vivait et travaillait entre Vence et New-York. Une grande rétrospective de son œuvre s’est tenue en 1998 à la Galerie Nationale du Jeu de Paume de Paris, exposition qui a voyagé en Israël (Tel-Aviv Museum of Art,1999), au Brésil (Museo de Arte Moderna de Rio de Janeiro, 1999) ; en Iran (Museum of Contemporary Art de Téhéran 2003). Plus récemment le MAMAC de Nice (2006) et le Centre Pompidou (2010) lui ont consacré une importante exposition. Présent dans une centaine de villes du monde avec des œuvres monumentales, il l’est également dans les plus grandes collections internationales : Saint Louis Art Museum, Missouri ; Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris ; Fondation Cartier pour l’Art Contemporain de Paris ; MAMAC de Nice ; Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig , Vienne ; Hamburger Kunsthalle, Allemagne ; Tate Modern, Londres ; Stedelijk Museum, Amsterdam ; Peggy Gugggenheim Museum,Venise ; Hara Museum of Contemporary Art, Tokyo.

JUAN ARAUJO: WALLED - IN SHUT - GALLERIA CONTINUA, SAN GIMIGNANO




JUAN ARAUJO
WALLED - IN SHUT
Galleria Continua
Via Del Castello 11 - San Gimignano
13/02/2016 - 01/05/2016

Galleria Continua è lieta di presentare Walled – in Shut, la prima mostra personale in Italia di uno degli artisti contemporanei più importanti dell’America Latina, Juan Araujo.
Juan Araujo, venezuelano, classe 1971, è uno dei protagonisti della scena artistica internazionale. Le sue opere sono ospitate all’interno di prestigiose collezioni pubbliche come la Tate Gallery, il Museum of Modern Art di New York, la Jumex Collection a Mexico City, Inhotim Centro per l’Arte Contemporanea di Belo Horizonte, la Galería de Arte Nacional di Caracas, il Museu de Arte Contemporáneo di Caracas e il Centro Gallego de Arte Contemporánea di Santiago de Compostela in Spagna.
Per introdurre il nuovo ciclo di lavori presentati in Walled – in Shut, Juan Araujo fa riferimento ad un viaggio di Mark Rothko in Italia nel 1959 che coincise con un momento particolarmente delicato per l’artista statunitense. Ricevuta l’importante commissione per il Seagram Building, Rothko era da un anno immerso in profonde riflessioni che lo indussero a cercare riscontri alle proprie idee in opere del passato.
“Le famiglie Rothko e Fischer sbarcarono a Napoli e visitarono Pompei. Secondo il racconto di Fischer, Rothko scoprì “un profondo legame” tra il suo lavoro in corso d’opera al Seagram’s Building e le antiche pitture murali della Villa dei Misteri. Poi la famiglia Rothko visitò Roma, Firenze e Venezia. A Firenze, Rothko si recò presso la Biblioteca Laurenziana, progettata da Michelangelo, così come aveva fatto in occasione di una precedente visita nel 1950. In una successiva intervista con Fischer, Rothko ammise che la sensazione di spazio creata dal vestibolo laurenziano era stata per lui fonte d’ispirazione per le opere del Seagram Building. “Questa sala crea esattamente l’impressione che volevo”, affermò Rothko. “I visitatori hanno la sensazione di essere imprigionati in una stanza con porte e finestre murate (“Walled in Shut”) (Juan Araujo).
Juan Araujo crea le sue opere a partire da un’immagine fotografica di un edificio o di un paesaggio, con il suo intervento ne mette a fuoco una porzione e la riproduce. Questo ritaglio, copiato e trasformato, dà vita ad un’ immagine che conserva in sé il frammento originario ma si palesa anche come nuovo frammento pittorico. Lungi dall’essere mera citazione o appropriazione l’opera di Juan Araujo riflette sulla storia, sulle immagini stesse e sulla loro permanenza nel tempo attraverso diverse formule di riproduzione, di adattamento e di diffusione.

Juan Araujo è nato nel 1971 a Caracas, Venezuela. Vive e lavora a Lisbona, Portogallo. L’artista ha realizzato mostre personali in importanti istituzioni internazionali, tra queste “Mineirianas” presso Inhotim, Centro de Arte Contemporánea di Belo Horizonte in Brasile e “A Través” al Centro Gallego de Arte Contemporáneo (CGAC) di Santiago de Compostela in Spagna, entrambe del 2015. Il suo lavoro è stato incluso inoltre in numerose esposizioni collettive e biennali: “United States of Latin America”, MOCAD Museum of Contemporary Art Detroit, Detroit, USA (2015), “Another Part of the New World”, Moscow Museum of Modern Art, Mosca, Russia (2015), “The insides are on the outside”, a cura di Hans-Ulrich Obrist, Casa de Vidrio, San Paolo, Brasile (2013), Triennale di Aichi, Nagoya, Giappone (2010), Museu de Arte Moderna di São Paulo, San Paolo (2009); Biennale di Sharjah, Emirati Arabi Uniti (2009); Biennale di Mercosul, Porto Alegre, Brasile (2007); Biennale di San Paolo (2006); San Diego Museum of Art (2005) e American National Society, New York (2005).

LIVIO MARCHESE: LO STUPORE E LA SCOPERTA DEL MONDO - VILLAGGIO MAORI 2016




LIVIO MARCHESE
LO STUPORE E LA SCOPERTA DEL MONDO
Straub-Huillet incontrano Pavese
Villaggio Maori (29 febbraio 2016)
Collana: Ellissi

Nel 1978 Jean-Marie Straub e Danièle Huillet "incontrano" Cesare Pavese. Il dialogo a distanza dà origine al film Dalla nube alla resistenza, frutto di una visione del mondo in netto contrasto con la logica del capitale. Un cinema anti-spettacolare, teso all'educazione dello spettatore e alla formazione di coscienze critiche che riescano ancora a stupirsi di fronte allo "splendore del vero". Questo libro traccia le coordinate storiche, filosofiche, etiche ed estetiche di questo incontro. In contrapposizione alla nuova barbarie novecentesca, caratterizzata da una violenza sempre più sfrenata dell'uomo sulla natura, lo sguardo empedocleo di Straub-Huillet incarna l'estrema espressione di quello stupore che rappresenta l'atteggiamento "aurorale" dell'uomo nei confronti del mondo.

SERGIO ARECCO: IL CINEMA BREVE - CINETECA DI BOLOGNA 2016




SERGIO ARECCO
IL CINEMA BREVE
Da Walt Disney a David Bowie
Dizionario del cortometraggio (1928-2015)
Cineteca di Bologna (17 marzo 2016)
Collana: Il cinema ritrovato

Oltre duecento corto e mediometraggi esemplari, selezionati e analizzati dalla perizia critica di Sergio Arecco, compongono nelle pagine di questo libro un'autentica storia parallela del cinema. Una storia che parte dalle origini del sonoro e senza soluzione di continuità arriva fino a noi, una corrente continua di multiformi invenzioni che ci conduce dallo Steamboat Willie di Walt Disney al Blackstar di David Bowie. Film d'avanguardia, film narrativo, film d'animazione, autobiografia, provocazione intellettuale, opera prima e pezzo unico, esordio ed epitaffio, contaminazione estrema e cinema puro. Concentrazione, divagazione, episodio, appunto, colpo d'occhio. Truffaut e Warhol, Antonioni e Park Chan-wook, D.A. Pennebaker e Björk, Shirley Clarke e Dino Risi, Buñuel e Tex Avery, Pasolini e Justin Lin, Mishima e Scorsese, Beckett e Monicelli, Lynch e Miyazaki. Certo, il cinema breve vive spesso di vita segreta. Compaiono nel repertorio anche nomi poco frequentati, titoli misteriosi, e sta forse qui il più forte richiamo di questo dizionario: nel suo proporsi come miniera di scoperte, di film così ben raccontati che avremo voglia di cercarli e di vederli, e che entreranno a far parte del nostro bagaglio cinefilo, della nostra storia personale.